I Litfiba si formano a Firenze sul finire dell'80, dall'incontro tra il chitarrista Federico "Ghigo" Renzulli, il bassista Gianni Maroccolo, il batterista Francesco Calamai e il tastierista Antonio Aiazzi. Primo brano (strumentale) "A Satana". Sarà Antonio a convicere l'allora liceale Piero Pelù (che Maroccolo descriverà come: "uno che si vestiva di nero, con gli occhi truccati e che si aggirava tra i cimiteri e i punkettoni di Firenze") ad entrare nel gruppo.

Il primo concerto si svolge l'8/12/80 (giorno della morte di Lennon) alla Rockoteca Brighton. Nei 2 anni seguenti il gruppo farà tantissimi concerti in giro per l'Italia e l'Europa, anche insieme ad altre band come Diaframma e Neon. L'occasione per mettersi in mostra arriva con la 2° edizione dell' Italian Festival Rock di Bologna, che vincono. Il premio è la possibilità di incidere un ep, che è quella che mi appresto a recensire. Questo ep è la primissima testimonianza di una delle più importanti band italiane, e originale è praticamente introvabile. Tutti i brani non sono di grande valore musicale, ma poetico. Le influenze sono soprattutto di gruppi come Killing Joke, Tuxedomoon, Stranglers, X e David Bowie.

Dopo un'intro di tastiere parte "Guerra", sorretta dal basso e dalla batteria (che per quasi tutta la canzone suonano le stesse note), su cui si innestano le tastiere, la chitarra e la voce ancora acerba e inesperta di Piero ("Guardo, oltre il muro di vetro, l'esercito che passa, uomini neri/ Cerco, in una mano chiusa, la causa della morte, di uomini neri"). Verso metà brano il basso da un'accellerazione al ritmo contemporaneamente a un assolo di chitarra. La seconda canzone è "Luna", eseguita in altre versioni in segiuto, e qui con un testo leggermente diverso, in cui un travolgente ritornello con chitarra e basso in evidenza porta al finale in cui Piero esclama "Sarò re e un dittatore". "Under the Moon", cantata in inglese, inizia con un mormorio del basso e delle voci in sottofondo per sfociare in una bellissima wave-song con un gran lavoro delle tastiere. La seguente canzone, "Man in Suicide", è anch'essa in inglese.

Si rimane colpiti dalla batteria, che ripete ossessivamente lo stesso suono nelle strofe, e in generale da tutta l'atmosfera della canzone, quasi da funerale. Il ritornello è più convenzionale ma sempre molto pacato e triste; il finale è affidato a un assolo e al basso. L'ultima traccia è la strumentale "E. F. S. 44" un esperimento in cui si uniscono atmosfere cupe, voci minacciose e psichedelia, ma che non sembra riuscito del tutto.

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