Queste Lucertole sono uno sconosciutissimo ma intrigante e valido quartetto statunitense chitarra/tastiere/basso/batteria formatosi all'inizio della scorsa decade, alle prese con dell'hard rock dai riflessi sia settantiani che ottantiani, appoggiato sul solito blues di base ma anche su una certa (blanda) forma progressiva ed epica. Il caso mi ha fatto incocciare in loro andando a vedere un concerto di Glenn Hughes al quale facevano da apripista, e devo dire che di quella serata il mio ricordo più vivido e ammirato è di gran lunga per il loro set. La formazione comprende anche nomi di un certo spicco a cominciare dal voluminoso paisà, ineffabile maestro di piatti e pelli Bobby Rondinelli, musicista sopraffino per la disarmante precisione, l'indubbio estro e l'adeguata potenza che sfodera sul kit; Black Sabbath, Raimbow, Blue Oyster Cult, Quiet Riot i pezzi grossi presenti nel suo curriculum. L'unico suo difetto è che tende a strafare: sa di essere bravo ma dimostra sempre un po' d'ansia che qualcuno possa non accorgersene...
Di una certa notorietà pure il pelato tastierista e voce solista Mike DiMeo il quale da giovane, ad inizio anni '90, sfiorò l'ingresso addirittura nei Deep Purple, al posto dell'inadatto Joe Lynn Turner appena allontanato: lo voleva Blackmore, ma la maggioranza scelse di reintegrare nuovamente Ian Gillan. Mike è stato in seguito e per anni il cantante dei Riot, gruppo di heavy metal melodico, ma lo si trova pure citato come collaboratore in tante altre produzioni, fra cui l'ultimo disco in studio del recentemente scomparso gigante del blues Johnny Winter.
Il biondo e mancino musicista che si occupa della chitarra, bravo seppur sconosciuto, si chiama Patrick Klein ed è un riuscito Frankestein: un terzo di Iommi, un terzo di Blackmore e un terzo di Page!; ma il soggetto più straordinario e stravagante della banda viene ad essere il bassista e armonicista Randy Pratt. A vederlo nelle foto e ancor più in azione si rimane un po' interdetti, sembra l'anzianotta comparsa di un film ambientato nel settecento! Una faccia Mozartiana da... cocchiere (o maggiordomo?), abbigliamento tra l'hippy e il dandy, impegnato a suonare eccentrici e giganteschi bassi pieni di corde e dalle enormi tastiere. Le stranezze però finiscono qui, perché poi è solo un piacere sentirlo e ammirarlo suonare: abile, brillante, creativo, preciso... bravissimo. Un esempio lampante: l'ostinato "pedale" in sedicesimi, acuti e stoppati, tenuto sotto le strofe dell'esuberante ed estesa (nove minuti) "Can't Fool Myself ", vero atto di forza di questo disco coi suoi lunghi assoli di chitarra e di organo: geniale! originale!
La pessima copertina che racchiude questo lavoro, quarto di una carriera fermatasi per ora a cinque album, introduce anche altre prelibatezze che spaziano da tosti rock blues nodosi e Zeppeliniani tipo l'iniziale "I'm No Good" e più in là "On A Wire", allo strumentale con assoli sia di armonica che di chitarra che di organo "Plank Time", dalla situazione discretamente progressiva "Ariel", con atmosferica apertura della solista ad evoluire sopra un arpeggio di simil clavicembalo, allo stile heavy funky stradaiolo modello Aerosmith di "Bad Luck Is Come To Town".
Il lato soul-funky di questa formazione, favorito dal groove micidiale di un bassista veramente dotato, è ulteriormente messo in evidenza dall'ospitata di un vero specialista del settore, quello stesso Glenn Hughes che mi ha consentito di conoscerli portandoseli in Italia a suonare. Glenn duetta con DiMeo su ben quattro pezzi, al solito esagerando in esuberanza (specie sulla decisamente Mercuryana "Take The Fall", un esercizio alla Queen con tanto di pomposa orchestra) e sotterrando un po' il canto più misurato e lineare del titolare, ma tant'è. In realtà lo stile di Mike è soprattutto debitore di Ronnie James Dio, lo si sente bene nei due o tre brani che toccano moderatamente l'epic metal, tipo la chiusura finale "The Arrival of Lyla". Il songwriting è consistente, le idee solistiche non mancano (la chitarra di Klein è naturalmente la più impegnata in questo, ma c'è da dire che Di Meo non è solo un frontman... è proprio un tastierista a tutti gli effetti, con tecnica e creatività più che adeguate per avventurarsi in fughe d'organo alla Raimbow/Deep Purple, staccare "pieni" di fiati sintetizzati nelle cose più funky, accompagnarsi al pianoforte col dovuto tocco nei momenti più quieti); la sezione ritmica è decisamente sopra la media e il sublime Pratt è pure un armonicista che levati, riuscendo del resto a strappare ingaggi anche per suonare esclusivamente questo strumento, tipo nei recentemente riformati Cactus!
Per quelli a cui la musica rock nuova (quale?) e moderna (?) risultasse deludente, ecco qui un misconosciutissimo quartetto di perfetti esecutori di rock classico, un genere vecchio bacucco ma che in dischi come questo si rifà il trucco alla grande grazie alle pulitissime e massimamente dinamiche tecniche odierne di produzione e all'accresciuta abilità esecutiva degli strumentisti; manca al mio ascolto ancora qualche loro produzione, ma per ora questo "Against All Odds" mi appare come il loro lavoro più riuscito: gran belle canzoni e pochi riempitivi fra i tredici pezzi presenti.
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