Ciao gente, il cinema "minore", come quello che esamino per e con voi nelle mie modeste righe su Debaser, non coincide necessariamente - l'avrete ormai inteso - con il genere "trash", ma designa tutto ciò che, nel nostro amato Paese, sfugge alle lodi della critica maggiore e militante, venendo dimenticato fino al pronto recupero del Vostro Il_Paolo.

Già che siamo in vena di recuperi e ricicli, spostiamoci nella parte più interessante, a tal fine, della Nostra Penisola, viaggiando idealmente verso Napoli e la sua scena musicale e cinematografica: i più adulti fra voi ricorderanno come, nei primi anni '80, la scena culturale partenopea fosse in particolare fermento, fino a parlare di una sorta di "rinascimento" artistico, che vide fra i suoi epigoni musicisti come  i fratelli Bennato, Enzo Avitabile, Tullio de Piscopo, Enzo Gragnaniello, Tony Esposito, i transfughi del combo Napoli Centrale di James Senese, nonché l'allora sommo Pino Daniele; non da meno erano gli attori del trio "La smorfia", composto dall'indimenticato Massimo Troisi, spalleggiato dal simpatico Lello Arena e dal bell'Enzo Decaro, oggi aduso a molta fiction televisiva.

Dopo lo scioglimento de "La smorfia" e l'incoraggiante esordio del giovane fuoriclasse Troisi in "Ricomincio da tre", nello stesso 1982 vi fu l'idea di supportare l'esordio cinematografico dello stesso Lello Arena, in un ruolo di primo piano nella commedia a venatura gialla che qui commento.  Soggettista ed, in parte, sceneggiatore dell'opera, fu il sodale di sempre Troisi, che si riserva una porticina non secondaria nello stesso film, illuminandolo con la sua maschera.

Arena era indubbiamente simpatico, con il "phisique du role" dell'imbranatiello, e negli anni '80 fu spesso sfruttato da cinema e televisione in quanto, rispetto a Troisi, proponeva una comicità meno cerebrale e diretta, maggiormente corporea e, se vogliamo, più legata al clichè partenopeo di quella del grande Massimo. La sua stella declinò tuttavia rapidamente, dimostrando, nel medio periodo, come la sua comicità fosse meno efficace di quella dell'amico Troisi, riducendosi, sovente, a puro macchiettismo, rispetto alla più sofferta (e "filosofica") visione del mondo del compagno scomparso nel '94.

E' in questo contesto, e sulla base delle evidenziate premesse, che questo film può essere (ri)visto ed analizzato.

Si narra, infatti, di un misterioso killer, ribattezzatosi "Funiculì Funiculà" che, nel nome della tradizione napoletana, semina la morte fra i giovani artisti - musicisti ed attori - che compongono la nuova scena napoletana, simboleggiando una reazione rispetto alla novità, vista anche come un tradimento di una certa idea di arte alle falde del Vesuvio. Il giornalista del "Mattino" interpretato da Lello Arena è testimone della vicenda, mentre Troisi - nella parte di se stesso - è una delle vittime dell'omicida, la cui identità verrà svelata non senza sopresa da parte dello spettatore.

Nonostante la partecipazione di Troisi e la buona forma di Arena, oltre alla bella prova offerta da Maddalena Crippa nella parte della protagonista femminile del film, questo lavoro non risulta a mio parere, del tutto riuscito ed interessante, se non per gli sprazzi sociologici e culturali che ci restituisce, nel descrivere la tensione fra tradizione e modernità nella Napoli dei primi anni '80. Il che, ironicamente, suona come un motteggio di Troisi ed Arena nei confronti di chi, all'esordio, magari li criticava per la "novità" delle loro rappresentazioni, come del resto veniva avversato il blues metropolitano di Daniele e Senese, così stridente con la tradizione locale.

Il film non convince, ed in parte giustamente è stato rimosso da pubblico e critica (salvi gli aficionados) proprio perché indeciso nello sviluppare la trama gialla - di per sé non banale, anche se al dunque pretestuosa - e nell'accentuare i tratti comici della vicenda, mescolando in maniera ondivaga l'uno e l'altro genere. Mentre Arena è calato nella parte, Troisi come spalla funziona giusto a metà, essendo un attore che, per esprimersi al meglio, doveva occupare il centro della scena ed essere motore delle gag di comprimari straniati dalle sue astruse elucubrazioni: unico pezzo da maestro che qui ci regala è il breve "monologo su Rovigo".

La regia è nella media, non lasciando particolari ricordi e risultando a stretto servizio della trama e della storia raccontata, a volte con verve altre, diciamolo, con una certa noia.

Non un film da stroncare, dunque, ma un film "minore" che oggi potrebbe essere riscoperto, se non altro perché testimonia un epoca di rinnovamento, e mette alla berlina il pensiero di certi tradizionalisti, forse proprio dei pazzarielli. E poi dicono che Napoli non deve cambiare.

Tradizionalmente Vostro

Il_Paolo

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