This is not a sad song 

Arezzo è ancora una citta medievale: vie strette che costeggiano muri di pietra e che si aprono in suggestive quinte scenografiche come Piazza Grande luogo del concerto. Già il concerto. Cosa volete che vi dica, ora sono qua è ascolto la storia di due tossici nella Berlino degli anni settanta e vedo passare sullo schermo Emmanuelle Seigner nella parte della madre cattiva, oh si, credo proprio che le toglieranno i bambini.

Berlin viene messo in scena per la prima a volta a 34 anni dalla sua uscita su disco; a voler essere cinici più che una (auto)celebrazione e la riscossione di trent'anni di royalties di un album che ha avuto alterne fortune. Stroncato alla sua uscita passerà alla storia come una delle prove più cupe e disperate di Lou Reed. Sul palco i pezzi più rock acquistano potenza per non dire rindondanza mentre quelli lenti asciugano le lacrime tenute nascoste troppo a lungo. Una trentina di persone cerca di (ri)scrivere la storia e la contemporanea presenza del produttore Bob Ezrin lo sta a sottolineare. Lou sembra rilassato come non mai anche se questo non gli impedirà di commettere qualche errore di troppo alla chitarra ma fortuna vuole che si trovi davanti ad un pubblico fin troppo indulgente che fino a qualche minuto prima aveva rumoreggiato furiosamente causa ritardo dello stesso. Arriva anche il momento del bis o bisse come dicono da queste parti e vista la scaletta sembra ancora di essere ai tempi di Rock'n'Roll Animal: Sweet Jane, Walk On The Wild Side e Satellite Of Love. Forse il tempo non è mai passato e noi non ci siamo mai mossi da qui e se non lo abbiamo fatto noi di certo non lo hanno fatto dei muri di pietra.

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