"Ehi Carlo. E' un po' che non ti si vedeva in giro. Dov'è che l'hai comprato quel giubbotto?"

"
Cazzo. Amico, questo giubbotto io non l'ho comprato. L'ho fregato a James Dean in persona."

"Raccontala a un altro! James Dean è morto nel 1955. Molti anni prima che tu nasc..."

"
Lascia stare ragazzo. Non sai di cosa stai parlando."

Giù in città mi sono fatto una certa reputazione.
La sera me ne vado in giro per locali con il mio giubbotto e i miei occhiali da sole a bere qualche bicchiere e raccontare balle, che è la cosa che mi riesce meglio negli ultimi tempi. La solita è che ho messo in piedi una band di rock'n'roll e che con i miei ragazzi stiamo registrando un disco che cambierà la storia della musica in questo fottuto paese. Qualcosa di talmente forte da far sobbalzare dal divano persino il vecchio e bianco culo flaccido di qualche discografico dalle parti di New York, negli States. Naturalmente in verità ce l'ho una band, ma siamo fermi dallo scorso settembre. Il batterista ci ha lasciato per andare a suonare in un complesso che suona salsa e merengue su navi da crociera, i Sydney Pollocks. Guadagna milleetrecento euro al mese, al netto dei contributi e delle tasse da pagare a quelle sanguisughe dello stato. Il chitarrista solista è bloccato a letto col mal di schiena e negli ultimi tempi nemmeno io mi sento troppo bene. Comunque è una bella storia e la gente di solito ci crede. Sabato sera ne parlavo con una - con una ragazza, si intende - che fa la barista in uno di quei locali in centro. Uno di quei fumosi sottoscala da quattro soldi e ancora meno metri quadrati. Questa ha trenta, trentacinque anni, i capelli castani, ricci, e non è certo una di quelle che il mio amico Angus - Angus, il chitarrista dei Felloni del Punk, tanto per intenderci - arriverebbe a definire "una figa della Madonna". Ma non è nemmeno da buttare via. E poi non è che io negli ultimi tempi ho molte donne tra le mani. Ad ogni modo, devo dire che mi stava particolarmente simpatica e avevo già buttato giù una intera bottiglia di whisky... Ok. Facciamo che mi andava di sbattermela senza troppi complimenti perché sabato mi sentivo solo e non avevo nulla di meglio da fare e chiudiamola qui, va bene?

Sabato sera il locale era pieno zeppo di quelle studentesse spagnole che, se sei in gamba, le tiri giù le mutande con due dita di vino. Tuttavia - e chi mi conosce lo sa bene - salvo rare eccezioni, e penso a gente come Picasso, Vázquez Montalbán (ma nemmeno tanto), Andoni Zubizarreta e Julio Salinas, non mi sono mai andati troppo a genio gli spagnoli. E' una lunga questione relativa alla storia degli ultimi cento anni del loro paese, ma di tutto questo e molto altro vi parlerò volentieri in un'altra occasione. Queste spagnole erano davvero troppo giovani per me e in ogni caso avevo bevuto così tanto che mi sarebbero scivolate via tra le mani prima ancora di rendermi conto della consistenza delle loro chiappe. Inoltre, come se non bastasse, il vero problema di queste studentesse è che vogliono sempre ballare e allora nel locale mandavano della robaccia. Quella musica techno che va tanto di moda in quei rave party dove tutti si fanno di droghe e allucinogeni solo per poter poi andare a raccontare agli amici il giorno dopo che: "Ehi cazzo, ero tutto fatto e ho visto il fantasma di Aldous Huxley!" Vi dico che uno una volta mi ha detto proprio così. Così gli ho risposto, "Senti... No, va beh, lasciamo perdere." Conoscevo quel ragazzino da quando portava i pantaloni corti. Suo fratello una volta suonava il basso con una band davvero tosta, si chiamavano i Buffalo Bill is Dead and Davy Crocket Too e penso di aver visto tutti i loro concerti tra il giugno e il settembre del 1987. Poi una volta durante un concerto il cantante della band, un certo Bob (il suo vero nome era Pasquale, ma lui si faceva chiamare Bob), durante una versione particolarmente punk e tirata del classico "Give My Love To Rose" che se non lo conoscete allora siete proprio dei gran fetenti, aveva preso a gettare giù dal palco le casse e gli amplificatori. Era stata un'esibizione memorabile. Una esperienza breve, quella dei Buffalo..., ma troppo costosa, così avevano deciso di smettere dopo quella sera. Comunque - penso si sia capito - personalmente non ho mai avuto troppa simpatia per i rave party.
Allora l'ho guardata negli occhi - quella con i capelli castani ricci di prima - e le ho detto, "Cazzo, non è che si potrebbe cambiare disco? Questa roba mi ricorda di quella volta che ho rischiato di morire ammazzato nei cessi di uno di quei maledetti localacci giù in California." Avevo un po' esagerato circa i miei presunti problemi con un importante boss della mafia musicale durante il mio periodo americano. Lei mi sorride, mi fa cenno di aspettare e mette su un disco. Rock, certo. Ma è roba che io non ho mai sentito. Lei mi guarda e mi dice, "Sono forti i Motorpsycho, vero?"
Bene. Io non ho mai sentito un disco dei Motorpsycho che sia uno. Non lo metto in dubbio, devono essere una grandissima band. Solo, io non li ho mai ascoltati. Ma non mi andava di deluderla, così le ho detto, "Sì, sono proprio forti. Altro che quella merda che fanno oggi a San Francisco. Portami un'altra birra, bellezza." Quella conversazione cominciava a farsi troppo impegnativa per i miei gusti.

"Senti - mi dice - ma quali sono i cinque dischi che ti porteresti dietro su un'isola deserta?"

I cinque dischi che mi porterei dietro su un'isola deserta? Cazzo. Ve l'hanno mai fatta una domanda così? "Quali sono i cinque dischi che vi portereste dietro su un'isola deserta?" Io non lo so. Quella è stata la prima volta - e per fortuna anche l'ultima - che mi hanno fatto questa domanda. "Senti, ci devo pensare. Sì, ci devo pensare." Dovevo guadagnare tempo. "Tu, quali sono i cinque dischi che ti porteresti dietro su un'isola deserta?"

"Lasciamici pensare... Beh, mi porterei dietro questo disco dei Motorpsycho, [segue il titolo del disco in questione, che naturalmente ero troppo sbronzo per mandare a memoria]. Poi mi porterei dietro sicuramente un disco dei Radiohead. Ok Computer forse. Magari The Bends. Nevermind dei Nirvana, Dirt degli Alice In Chains e poi un disco di De André, che un disco italiano secondo me ci vuole. Probabilmente Non al denaro, non all'amore né al cielo." Sembrava soddisfatta.

Anche De André! Era troppo. Quella serata si era messa davvero troppo male e, non fosse stato per quella bottiglia di whisky che avevo bevuto qualche ora prima, sarei di certo schizzato fuori dal locale senza che né lei, né chiunque altro dei presenti se ne potesse rendere conto. Non avrebbero capito niente nemmeno quei maledetti spagnoli. "De André non mi è mai andato a genio - ho detto, ma la mia testa stava pensando ad altro ma penso che mi porterei sicuramente dietro un disco di Lou Reed."

"Quale?! Transformer? New York? Berlin? Coney Island?" Continuavo a fare cenno di no con la testa a tutte le sue domande. "Qualcosa dei Velvet Underground? Quello con John Cale?"

"Quello con John Cale si chiama Songs For Drella ed è uno dei migliori dischi degli anni ottanta, stupida. Me lo ha regalato Chiara qualche mese prima di lasciarmi. Se ci penso forse è stato l'unico regalo che mi ha fatto tutto il tempo che siamo stati assieme. O magari ce ne sono stati altri, ma adesso non me li ricordo, e comunque non li verrei a dire a te che non sai nemmeno che quel disco si chiama Songs For Drella, cazzo!" Pensavo. "Songs For Drella", le ho detto sorridendo. "Ma non è neanche questo. C'è un solo disco che mi porterei dietro su un'isola deserta in questo momento, e questo disco è Rock and Roll Heart, perché, vedi, in questo momento la mia testa batte come un tamburo. E' una bomba a orologeria sul punto di esplodere. Eppure il mio batterista è in viaggio su una nave da crociera al largo delle Antille, Isole Cayman Trinidad Grenada o Barbados."

Allora non ha detto nulla e ha preso a preparare qualcuno di quei maledetti cocktail colorati che la gente beve alla sera quando va in uno di questi locali. Probabilmente non aveva capito nulla di quello che le avevo detto. Ma come potevo darle torto? D'altra parte anche io non stavo capendo nulla, e se la mia testa era sul punto di esplodere la colpa non era di certo sua. Di quella maledetta musica techno, sicuramente. Magari dell'alcol. Ero completamente ubriaco. "Perché vedi - dovevo aggiungere - al mondo non c'è nulla di più importante del buon vecchio rock and roll." Ma lei chiaramente non mi ascoltava più da almeno cinque minuti. Era andata male anche questa volta. Ho lasciato una decina di euro sul bancone. Avevo pensato che dovevano essere abbastanza per pagare quelle tre o quattro birre che avevo preso - ma naturalmente non era così - mi sono sollevato a fatica dallo sgabello e mi sono trascinato fuori dal locale. All'uscita ho salutato con una pacca sulla spalla Nicola, il buttafuori. Era stato il mio personal trainer in palestra, qualche anno prima, poi a causa di una brutta infiammazione al nervo sciatico aveva dovuto rinunciare agli allenamenti. Comunque era un tipo a posto. Girava sempre con il suo compagno, un certo Ciro che oggi gestisce un negozio di ferramenta in periferia, a Ponticelli, e che mi aveva dato più di un ottimo consiglio per mettere su degli addominali niente male. Fuori faceva un freddo cane. Pensavo a Chiara che questa settimana inaugura la sua prima mostra fotografica, e al fatto che io non ci sarò.

Mi sentivo l'ennesima maledetta vittima del rock and roll. Ma anche per quella notte andava bene così.

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