Nutro una sconfinata ammirazione nei confronti di Lou Reed.
L'ascolto in tenera età di Rock'n'Roll Animal, portato a casa – al solito – da mia sorella, insieme a Bowie e Meat Loaf, fu il mio ingresso nel mondo del Rock.
Lo seguo da allora, ovviamente a modo mio, cioè senza interessarmi più di tanto alle sue vicissitudini, ma acquistando ogni suo disco. Lo vidi live dopo l'uscita di uno dei suoi lavori migliori: New York; l'ho un po' perso di vista – ma non del tutto! – dopo Set The Twilight Reeling.
Mi piace sapere che c'è, insomma. È una delle persone che mi fanno amare il genere umano per il talento ed il genio che riesce (riusciamo) ad esprimere.

Da un po' di settimane ho recuperato il primo dei suoi dischi che comprai su compact. E oggi ho letto la recensione–amarcord di kosmogabri su Suzie Quatro. Insomma, sto vivendo un attacco di nostalgia di quelli che ogni tanto capitano dopo i trenta, e che vanno goduti come si gode un buon vino.

Il disco in questione, Songs For Drella, è una collaborazione del 1990 con John Cale. Uno «sguardo musicale alla vita di Andy Warhol».
Ricordo di essere corso ad acquistarlo dopo averne sentito un estratto in una trasmissione radiofonica su Warhol. Ci sono: la voce di Lou Reed, la voce di John Cale, la chitarra di Reed, la viola e le tastiere di Cale. E basta.
Mi piace moltissimo. Per le particolari atmosfere create da una strumentazione così scarna: sembra di essere in una sala teatrale, i due artisti sul palco illuminati solo da uno spot e tutti in silenzio ad ascoltare. Ma soprattutto per la storia che vi si racconta. La "Factory" di Andy Warhol ed il suo indotto di artisti, artistoidi e umanità varia (molta della quale è immortalata in Walk On The Wild Side) devono essere stati un'esperienza incredibile. Erano gli anni in cui successe Tutto: il Vietnam, la contestazione... anni davvero rivoluzionari, che ancora oggi "pesano".

Insomma ho nuovamente davanti agli occhi – dopo parecchi anni – la copertina nera del cd con i due artisti che mi guardano e, nero su nero, Warhol con gli occhi chiusi. Reed canta Open House ("My skin is as pale as the outdoors moon/My hair's silver like a Tiffany watch") ricamando pochi rarefatti accordi di telecaster sulla base anche più rarefatta di tastiera. Dopo salterò a Forever Changed, perché la chitarra elettrica suonata così mi fa semplicemente impazzire.

E poi ripartirò dall'inizio per ascoltarlo tutto.

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