Mentre mi recavo al cinema per vedere "Bones and all" , un quesito mi ronzava per la testa : ma cosa avrà di tanto prelibato la carne umana macellata e cucinata appropriatamente per affamati commensali antropofagi? Una domanda tosta per chi, come il sottoscritto, non è totalmente vegetariano ma comunque predilige verdura, legumi e frutta. Eppure, pur con tutte le mie riserve mentali sull'argomento, non intendevo evitare l'ultimo film di Guadagnino, autore dallo stile particolare e mai banale. Infatti, prendendo spunto dal romanzo "Fino all'osso" di Camille DeAngelis, il regista prende a pretesto la tematica del cannibalismo per accennare ad altri temi.

La protagonista è la giovane Maren (interpretata dall'intensa Taylor Russell) che vaga raminga per gli States (quelli del dilagante edonismo consumista reaganiano negli anni '80) dopo essere stata allontanata da un padre incapace di redimerla dalla sua patologia cannibalesca. Deve perciò arrangiarsi e vivere di espedienti, stando ai margini della società ufficiale.

Ma ciò non le impedisce di scoprire di non esser l' unica nella sua condizione di reietta. Ci sono anche altri cannibali in circolazione, con cui condividere pasti e disavventure. Dapprima le capita di incontrare un uomo di mezza età di nome Sully (reso da un efficace Mark Rylance), dai modi ambigui e tanto laido e viscido da ispirare un moto di sana repulsione quando sostiene che i cannibali si riconoscono fra di loro per via olfattiva (evidentemente puzzano alquanto...). Ma fortuna vuole che sulla sua strada Maren incontri un coetaneo come Lee (il magnetico Timothee Chamelet, autentico novello James Dean) in fuga da tutti e tutto, soprattutto da sé e dalla sua condizione disperante. Fra i due giovani può nascere un sentimento rafforzato dal comune desiderio di trovare una vita più equilibrata e serena, almeno come loro stessi auspicano pur non essendo certi di essere riusciti nel loro intento (ed infatti il film ci lascia nel dubbio sull'esito dei loro sforzi).

Ma come anticipato, il tema del cannibalismo è solo un pretesto. Guadagnino rappresenta una vicenda drammatica, in cui tutto ruota intorno ai travagli di due giovani che faticano a trovare un posto adatto in questo mondo. Si tratta pur sempre di un tema noto come la fatica di crescere, di passare dall'adolescenza all'età adulta. Sicuramente, in ambito cinematografico, non costituisce un argomento nuovo dai tempi dei film di James Dean (anni '50) in poi, ma rivisitare la questione da un' angolazione insolita come il cannibalismo non può lasciare indifferenti.

E poi, come è tipico di tanti film realizzati in terra nord americana, l'odissea dei personaggi non è solo interiore, ma ha una sua dimensione esteriore proiettata in paesaggi maestosi, dalla costa est a quella ovest (e viceversa), secondo i parametri on the road tanto cari a molta letteratura e cinema yankee. In ciò Guadagnino non è da meno rispetto a tanti altri colleghi e quindi lo spettatore osserva affascinato il viaggio periglioso dei personaggi di "Bones and all".

A ciò si aggiunga anche la capacità del regista di non eccedere negli aspetti grandguignoleschi della trama. Si tratta di cannibali, vero, però la dimensione horror è molto contenuta e semmai prevale una forte dose di suspense psicologica, proprio per il fatto che i giovani protagonisti, dropout ed emarginati, conducono un'esistenza in costante tensione e non sanno realmente come sarà il domani.

Insomma, a mio parere ecco un film che stimola alla riflessione e che mi ha indotto anche a ritenere i due ragazzi (Maren e Lee) meno orribili di quanto si potrebbe immaginare. In fondo restano molto più pericolosi di loro due tanti altri umani che, sotto certe inappuntabili apparenze, sono capaci di azioni ancor più terribili e criminose (la realtà non ci risparmia tanti fatti di tale portata).

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