Riprenderò, dunque, il discorso da dove lo avevo lasciato, ossia, per coloro che non lo sapessero, dall'articolo da me scritto e qui pubblicato, un paio di settimane fa, sul primo disco di Ligabue, benchè, come già ho precisato, la mia intenzione non voglia essere quella di recensire un album in particolare, ma di commentare invece l'intero percorso artistico del rocker di Correggio. A tale scopo sarà, ad ogni modo, quella delle uscite discografiche la strada che seguirò per portare a termine tale progetto.

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Luciano Ligabue, che già nel 1991 pubblicava, ancora una volta per la WEA, il suo secondo album, aveva ormai imboccato la strada del successo attraverso una corsia preferenziale. Leggermente superiore al primo per qualità d'incisione, "Lambrusco, Coltelli, Rose & Pop Corn" si presenta subito molto simile alla precedente opera, sia da un punto di vista strutturale (undici brani con analoga alternanza rock/lento), sia da quello delle tematiche trattate, mentre a livello di sound ci si discosta un pò dalle suggestioni suscitate dal primo "Ligabue", in virtù del tentativo messo in atto dai Clandestino di affrancarsi dalle sonorità postume anni '80 per assumere i dettami del neonato grunge.

E' ancora l'uomo della strada, quello a cui non è toccato in sorte "vivere in certi tempi e in certi spazi", che canta sentendosi "in diritto o forse in obbligo di sognare" ("Lambrusco e popcorn"), che si trova a far serata con gli amici in qualche scantinato abbandonato, strimpellando una Gibson rubata, sullo sfondo di un improbabile quanto suggestivo scenario futuristico ("Anime in plexiglass"), o che tra un bluff ed una mano servita riflette sulle analogie tra la partita di poker che sta giocando e la sua vita ("Con queste facce qui").

Tralasciando volutamente l'analisi "traccia per traccia" del disco, mi limiterò a citare, oltre alle già menzionate nella precedente recensione, "Salviamoci la pelle" e "Libera nos a malo", solo alcuni tra i brani più significativi dell'album come "Camera con vista sul deserto", blues ben curato con tanto di slide guitar ed armonica,"Sarà un bel souvenir", commovente e semplice ballata che inizia solo con la voce di Ligabue che si accompagna con la sua chitarra acustica per poi esplodere nell'assolo di Cottafavi che prelude al ritornello finale in crescendo, e soprattutto "Urlando contro il cielo", il capolavoro del disco insieme all'altra perla costituita da "Libera nos a malo" (due canzoni così Ligabue non le scriverà mai più); un hard rock teso e sincopato con coro da stadio, un inno adrenalinico, potente ed unico, una forza della natura che annovero senz'altro tra quelle che ritengo essere le cinque o sei canzoni migliori dell'intero repertorio del cantante romagnolo (in ordine sparso: "Marlon Brando è sempre lui", "Libera nos a malo", "Certe Notti", "Bambolina e barracuda", "Non è tempo per noi").

Come dicevo si avverte ancora, in questo album, la primitiva rozzezza di Ligabue, quella di chi è cresciuto nella fredda nebbia della Pianura Padana, nel borgo della provincia di Reggio Emilia, tra il rispetto dei valori e delle usanze della sua terra (lavoro, fabbrica, contado, matrimonio, bar, Lambrusco, carte, calcio ecc...) e l'aspirazione ad entrare a far parte di un mondo (per lui) nuovo come quello del rock, lontano anni luce dalla tradizione emiliana (anche se, ad essere precisi, è stato proprio un altro paese della provincia di Modena, Zocca, a dare i natali a Vasco Rossi, l'altro grande rocker di casa nostra) e più in generale da quella italiana.

Tuttavia è proprio su questo che si basa la mia prima obiezione e perplessità sull'intera poetica proposta da Ligabue. Già all'epoca (siamo, lo ricordo, a distanza di un paio d'anni dall'uscita di "Lambrusco coltelli rose & pocorn", alle porte del 1993) gli si sarebbe potuto contestare di cantare storie e situazioni dalle quali il rock, la WEA, Bertoli, la sua stessa creatività, lo avevano già irrimediabilmente allontanato. Mi spiegherò meglio: questi brani, al momento della loro pubblicazione, non erano nuovi, bensì erano pezzi che Ligabue aveva nel cassetto già da anni. Questo spiega in buona parte anche il "flop" commerciale (rispetto alle aspettative suscitate dal successo dei precedenti due, resti ben inteso) del terzo disco, per il quale vi rimando alla mia prossima pubblicazione sul nostro amato DeBaser.

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