La seguente è una mia personale interpretazione del classico firmato Battisti/Mogol.

Il primo verso, in cui Battisti afferma con voce leggera "Io lavoro e penso a te", è una dichiarazione, da parte dell'uomo, del proprio diritto a essere uomo in quanto maschio, mettendo contemporaneamente in chiaro chi è che ha i pantaloni, chi si dà da fare per mandare avanti la baracca. C'è dell'ironia nel primo "E penso a te". L'uomo della canzone si mostra confuso, disorientato, cade quasi dal piedistallo, è come se dicesse "Ma come? Io lavoro, sono l'uomo di casa, dovrei essere serio, eppure penso a te. Anziché dedicarmi con fermezza al dovere, penso al piacere che non posso cogliere qui e ora?". "Io lavoro e penso a te" ha la duplice valenza di un attacco e di una ritirata.
Il secondo verso "Torno a casa e penso a te" tiene il ritmo, garantisce la ritualità. Il protagonista della canzone è vittima e carnefice della propria vita votata alla sconfitta quotidiana, in una routine borghese che, da una parte, lo annichilisce, dall'altra, fortunatamente, non gli impedisce ancora di pensare con la propria testa, di amare, di desiderare.
"Le telefono e intanto penso a te": da questa chiusura di terzina deduciamo che due sono le figure femminili interessate. Mentre l'uomo telefona alla sua ragazza, non può non pensare all'altra ragazza, quella ideale, quella che non c'è, né lì vicino a lui, né dall'altro capo del telefono. Si capisce quindi che nei primi due versi il protagonista non sta parlando con la ragazza assente, ideale, ma con la propria donna del momento, quella con cui parla al telefono. Nell’ultimo verso della terzina torna chiaro che l’uomo sta pensando ad entrambe, ed è profondamente combattuto, diviso, perché da una parte vede nella sua mente la sua donna del momento, la partner per la quale va a lavorare e per la quale torna a casa; eppure la sua donna non è in casa, tanto che egli è costretto a chiamarla al telefono, preoccupato; dall’altra parte, però, ha bisogno di pensare all’altra lei, l’altra donna della sua vita, ancora indefinita.
“Come stai? … Dove andiamo?”: queste sono le domande canoniche, pronte all’uso, che il protagonista rivolge alla sua donna. Di nuovo la routine che annichilisce, che tramuta l’essere umano in robot. “Le sorrido, abbasso gli occhi e penso a te”. Qua ci sono due possibili interpretazioni: o l’uomo sorride al telefono per poi abbassare gli occhi, oppure l’autore del testo, Mogol, ha saltato volutamente una scena, passando dalla telefonata all’incontro con la figura femminile di riferimento. In entrambi i casi il silenzio è la chiave. Il sorriso e gli occhi che guardano giù parlano più di qualsiasi sillaba pronunciata. In “E penso a te” Mogol dimostra il suo talento lirico, consistente in una perfetta disamina delle emozioni e dei rituali che però è sintetizzata in poche righe. Già dalle prime due terzine Mogol è riuscito a catturare l’ascoltatore attraverso il dono della sintesi.
Le due terzine successive risultano emblematiche, poiché mettono in luce la crescente complessità dei pensieri del protagonista, che però non fa altro che elaborare riflessioni vecchie come il mondo e apparentemente semplici. “Non so con chi adesso sei, non so che cosa fai, ma so di certo cosa stai pensando”: andando ad esclusione l’uomo della canzone si accorge di quanto egli sia affine alla sua ragazza ideale, la sua “seconda” donna. A lui non importa con chi sia o cosa faccia lei, il dove e il cosa esteriore, perché sa senza alcun’ombra di dubbio che lei prova le stesse cose che prova lui: la loro interiorità è quello che conta. Non è solo lui a pensare (nello specifico “a te”), ma anche a lei è dato di pensare, di avere lo stesso travaglio interiore. “E’ troppo grande la città” assume il valore di un grido, di una protesta all’urbanizzazione, all’omologazione dettata dal sistema. La vastità della città è disorientante, allontana sempre di più l’uomo dalla sua lei, infatti Battisti canta “Per due che come noi non sperano però si stan cercando”. Entrambi i protagonisti (l’uomo e la sua donna ideale, non la partner di vita) sono disperati, non sanno cosa fare e cosa essere nella città divoratrice, ma, nonostante tutto, continuano a cercarsi, non si danno per vinti. Sembra una contraddizione, come se si trattasse di una “speranza disperata”. L’intera terzina “E’ troppo grande la città per due che come noi non sperano, però si stan cercando” non può che essere considerata un capolavoro, l’opera di un genio lirico. È qui che l’autore rivela l’identità della “seconda” donna. Mogol (e/o Battisti) pensa alla donna in generale, a tutte le donne che non può avere, che non può amare, perché è già impegnato. Quella di Mogol è una dichiarazione d’amore a tutte le donne sole, che cercano l’altra metà, che non si danno per vinte perché non possono, perché la pura disperazione porterebbe all’annichilimento totale. Il protagonista maschile e la donna “qualsiasi” possono essere impegnati sentimentalmente con altre persone, possono avere storie di sesso, ma non possono non provare lo stesso senso di disagio, di inadeguatezza, hanno quindi bisogno di cercarsi, di desiderarsi.
Con “Scusa è tardi e penso a te” il protagonista torna a rivolgersi alla propria partner. La serata in generale non è stata granché, lo si capisce dal “Ti accompagno” sussurrato, quasi timoroso. L’uscita non è stata delle migliori perché lui non è “stato divertente”. Come mai non è stato divertente? In che senso non è stato divertente? Ha forse parlato con la propria partner dei propri pensieri, ha forse dato sfogo alle proprie elucubrazioni, deprimendola e facendola sentire poco importante? Probabilmente toccata in negativo dalla dichiarazione d’amore universale del suo uomo, lei ha voluto interrompere la serata, e l’uomo, preso dalla foga del dover riparare, ingenuamente, si è proposto di accompagnarla.
Di nuovo la ritualità con “Sono al buio … chiudo gli occhi … io non dormo”, in un climax venato di ironia, eppure eruttante disperazione. Ed è di nuovo grido, protesta. Il protagonista non riesce a dormire al pensiero di aver deluso entrambe le donne della sua vita, la sua partner e tutto il genere femminile.
Chi dovesse ancora tacciare la coppia Mogol/Battisti per misogina e sessista, dovrebbe ascoltare “E penso a te” un paio di volte, e si renderebbe conto dell’irrazionalità del pregiudizio. “E penso a te” è un assoluto capolavoro della canzone italiana, una sintesi perfetta della poetica di Mogol.

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