"Adesso basta sangue, ma non vedi, non stiamo nemmeno più in piedi, un po' di pietà"

Bastano queste poche parole, sussurrate su di una melodia dolcissima che le inguaina alla perfezione a rapire la nostra attenzione. Siamo alla fine del 1993 e Lucio Dalla compone quello che forse è il suo canto del cigno; un album mesto già dalla copertina, che all'epoca vendette pochissimo (si veniva dal becero successone di 'Attenti al Lupo') e che non contiene nessuna delle hit più conosciute dell'artista bolognese. 'Henna' è con tutta probabilità il figlio illegittimo di quel successo, quasi che Dalla, come già in altre occasioni (ad esempio con l'album 1983) avesse voluto rimettersi in gioco, scontentando chi si aspettava un lavoro ricalcato sul precedente.

Eppure le strade che portano alla realizzazione di un disco sono le più diverse e a volte, quasi per magia, il prodotto finale può risultare enormemente migliore della somma delle sue componenti. Il sapore di 'Henna' beneficia poi di un ingrediente tanto necessario quanto difficile da reperire sul mercato: la sincerità. E tutto cambia. La necessità dell'amore, la solitudine, la perdita di contatto sia fisico che emotivo con gli altri e con la realtà, l'alienazione della grande città sono i temi toccati nell'album. La title-track presenta una melodia avvolgente perfettamente aderente al testo: "Va bene io credo nell'amore" sostiene Lucio, perchè "in questo futuro nero buio" sarà "il dolore che ci cambierà", ma pur sempre l'amore a salvarci. Seguono 'Liberi', una filastrocca elettronica, e 'Rispondimi', uno dei capisaldi dell'album. Un dialogo tra un uomo e una donna "così da soli in mezzo alla città", perduti in un amore messo sotto assedio dalla vita: "ma tu difendimi" si promettono gli amanti "dalle monotonie e banalità, da questa specie di spavento che ci prende e se ne va". Una delle vette del Dalla post-Roversi, immagini semplici ma profondamente evocative, uno splendido duetto di voci che ribalta la mediocrità di altri simili proposte, una ispirazione dolorosa e sincera.

È poi la voce di Marcello Mastroianni a introdurre 'Cinema', altro pezzo baciato dalla grazia. È una ricerca gioiosa, ricerca d'amore naturalmente, condotta in luoghi improbabili, tra "baracche dei gelati" e "ingorghi autostradali".
È già 'Domenica', il giorno della solitudine, in "questo cesso di città", tra due amanti distanti, "lontani come statue" e la giornata che passa in silenzio dall'afa del pomeriggio al fresco della sera, inutile, vuota, buttata via senza alcuna possibilità di contatto umano. Contatto che a volte può anche risolversi attraverso il telefono, come nella bizzarra e tirata 'Erosip' storia di una coppia che avendo orari di lavoro diversi comunica (e si ama) quasi esclusivamente al telefono. Ma pressante è la richiesta di un contatto: "vieni se passi di qua, almeno mi vedi, hai capito, mi tocchi mi lecchi lo sai che mi va". Vedersi, parlarsi, toccarsi. Come nella gelida ma sempre più accorata 'Don't tocuh me' dove "Anna non abita più qui, Laura se ne è andata via, Valerio non lo sento più, ci siamo persi un po' per colpa mia" e di nuovo la solitudine, la perdita delle amicizie... Bellissima e struggente 'Latin Lover' (che ricordiamo colonna sonora del film "Come due coccodrilli"), una melodia ariosa, un disperato bisogno di amore per un 'play boy d'altri tempi' chiuso nel suo 'paltò', attraversare una Riccione invernale, solcata nel cielo da "aeroplani, razzi e comete" e da "alcuni pezzi del passato che siccome è già pasato non dovrebbero esserci più". Fino all'invocazione finale "fratello dobbiamo volare nei cieli più limpidi, bisogna imparare a sognare per essere liberi, così non dovremo volare per essere liberi". Caustica e amara è invece 'Merdman', che narra la caduta sulla terra di un alieno "con lo stronzo sulla fronte" destinato in breve tempo a diventare l'eroe dei talk-show, stroncatura della degenerazione in corso della programmazione televisiva.

Chiude l'album 'Treno', grande canzone che ci ricorda in alcuni momenti le stramberie melodiche del periodo con Roversi. Un viaggio nell'europa orfana del muro di Berlino, su di un treno "che corre e fila verso il duemila", corre tra soldati e carriarmati, tra vecchi e nuovi fascisti, corre verso un domani ancora sconosciuto.

Se pensate che Lucio Dalla sia finito da almeno vent'anni ascoltate questo disco. Vi ricrederete. Ok, musicalmente è un pop elettronico che può far storcere il naso, ok la voce non è più quella di 'Eliogabalo Imperatore' (mai sentita?); ma le dieci tracce di 'Henna' sono illuminate dai bagliori dell'ispirazione, della sincerità e della grazia.

Carico i commenti... con calma