All’inizio davamo importanza alle piccole cose, la fine della scuola, i giochi con gli amici, ci si stupiva per le foglie che cadevano l’autunno e per l’acqua che scrosciava nelle estati. Poi il tempo è passato e il primigenio ordine di valori è venuto meno, abbiamo disimparato a ragionare per principi primi e rifuggito le cose semplici.

E più gli istanti, i mesi e gli anni scorrono e più parliamo di libertà senza chiederci cosa essa sia e ci interroghiamo sulla longevità di un matrimonio senza chiederci che sia un rapporto umano e se possa essere per una vita. Ed oggi siamo qua, in questa valle trentina, su una panchina ricavata da un grosso tronco, appiccicaticcia tra l’odore di legno e di resina, qui io e il fascino della femminilità con cui condivido particolare elezione, qui a guardare il fiume che scorre, a sentire qual è oggi l’umore del bosco, con in braccio una chitarra a vibrare nell’aria le riflessioni di Luigi Grechi. Io e lei, l’incanto, lo sguardo, la natura, la poesia.. appoggiati a descrivere dell’entità delle piccole cose, del profumo che è qui e non altrove, della gentilezza e delle promesse che è inutile far.

Luigi Grechi per noi è cosa così. Evocatore della dimensione ch’è ormai sparsa e perduta, sepolta sotto una coltre di “impegni” e cinismo, insieme a notti sotto le stelle, al contatto con la terra e a campi pieni di lucciole. Luigi Grechi è così, un anime libera e pura, un girovago, un viandante sui sentieri della musica, nel cuore dell’Umbria, è riflessione sotto un faggio la sera e chilometri di strada macinati il giorno. Tralasciando molti aspetti anche importanti, Luigi Grechi nacque come grande archeologo del Folk e del Country statunitense riproponendo molti classici del genere e portando avanti un prezioso lavoro di divulgazione della canzone politica e di protesta americana (grazie a Luigi Grechi in Italia si iniziò a parlare di Woody Guthrie) durante tutti gli anni ’70, soprattutto presso il Folkstudio e le strade romane. Solo in seguito arrivarono le composizioni originali ed una manciata di dischi distribuiti in trent’anni di musica prettamente on the road. Luigi Grechi si ritrova in modo sorprendente nelle parole di H. Hesse, che diceva del suo Luigi:

Luigi il crudele era caduto dal cielo, tutto d’ un tratto egli era là. . . il girovago, l’ imprevedibile che aveva per dimora le ferrovia e per atelier lo zaino. . . Luigi l’ uccello, vagava sulla sua bicicletta per tutta la zona delle colline, era qui e là. . . scriveva con fatica, Luigi, lo spensierato, il suo sguardo indugiava penosamente sulla carta anche per un’ ora. . . le partenze erano gioia vitale per il suo cuore di uccello migratore. . . Luigi montò sul suo velocipede, sventolando il cappello, era già lontano. Notte, stelle. Luigi era in Cina. Luigi era una leggenda.

Schivo, libero e schietto, come il personaggio appena tratteggiato, tanto da cambiare nome per non essere riconosciuto come “il fratello di DeGregori”, da rifiutare il cambiamento e con esso il successo e da lasciare ogni casa discografica per mantenere intatta la propria identità artistica e per poter liberamente riproporre in tutta Italia, sera dopo sera, quel siparietto Country-Western di cui mai ha voluto essere prigioniero, semmai incline ad utilizzare quel clima e quello stile come binario per un percorso tutto suo… "Pastore di Nuvole" è anche questo, un viaggio nella saggezza e nel disincanto, nel sostituire l'irrealtà dei miti con la verità dei sentimenti…
La varietà dei temi è notevole e di una certa profondità, solo l’incipit del disco (“Eccolo lo stronzo..”) è una sarcastica autocritica al suo essere cow-boy, ma in successione si snodano momenti di rara intensità e impegno nei quali il registro Country-Folk solletica quadretti di bucolica bellezza, racconti di vita, riflessioni a tinte calde, incontrando suoni freschi e mai stucchevoli, grazie al sapiente ed equilibrato arrangiamento di Guglielminetti.

Il fuoco e la danza”, il secondo brano, orna di sacralità il tema delle radici da cui non possiamo prescindere, l’arcano rapporto che ci lega alle origini e alla terra, “Le vespe” è un invito a riconsiderare il piccolo, il quotidiano ed il concreto senza farsi mancare una certa fascinazione poetica. “Diggeridoo” è un amore primitivo e sorgente, “Ma che vuoi da me?” una dichiarazione d’amore alla Musica che ci ha incontrati e stregati, “Gli stivali e la tequila” e “Al di là del confine”, riconducono al più lontano tema del viaggio, la prima è connessa al viaggio materiale, alla sensazione della distanza e del disagio fisico e la seconda è intimamente legata al viaggio culturale, nell’alterità, nelle differenze, fors’anche nelle discriminazioni. Discriminazione è la parola chiave di “Venti gradi sottozero”, sagace contrappunto al razzismo di oggi, senza una goccia di retorica.

In conclusione, “Pastore di nuvole”, canzone il cui titolo regala già la poesia che si schiude con lentezza durante le righe di un testo ricco di riflessione e accompagnato da una melodia leggera appena tratteggiata dalla chitarra e dalla fisarmonica che cresce fino a terminare l’opera in una lunga e onirica fuga strumentale. Ed è la volta del Sogno, che pur indossando le differenti sue maschere cela sempre un desiderio solo, di trovar ciò per cui si va cercando.. e allora ci imbattiamo in un pastore che tiene a bada nubi, come l’artista la sua poesia, in un avvoltoio che malgrado la vecchiaia non ha ancora imparato a volare come la splendida intimità dell’uomo, nudo davanti a se stesso, davanti ai suoi desideri ed ai suoi sogni.

Un disco d’autore in parsimonia di mezzi.

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