Compagni, c'è un fatto culturale politico di grande importanza. Mi rendo conto il perché di fischi e mi rendo conto anche di una certa difficoltà.
Dobbiamo usare tutti i mezzi, non solo le chitarre. La cultura comunista è un fatto serio. Abbiamo bisogno di tutti i mezzi se vogliamo realizzare l'egemonia della classe operaia
”.

Sono alcune delle parole pronunciate da Luigi Nono nel corso di un concerto del 1975, organizzato dalla Federazione Giovanile Comunista Italiana. Tra schitarrate folk di vario genere, monologhi di Proietti, poi Pigmalione di intrattenitori del dire (Cirilli, Insinna, Brignano) che fanno le battute e ridono sulle proprie battute, arriva il turno del compositore veneziano che esegue “Non consumiamo Marx”. Pochi minuti e una bordata di fischi irrompe tra i ricercati artifizi elettronici di Nono.
Il pubblico non gradisce. Nono non gradisce i fischi e perde la partita. Interrompe il concerto e prende la parola. Spiega.
Il suo logos musicale viene mortificato dal suo logos verbale. Deve spiegare, deve difendersi.
E come difesa sceglie l'attacco, sentito e piccato.

Luigi Nono non è un John Cage che trasformava i fischi in proto catene markoviane.
Altri campionati, altri modi di intendere l'arte e il tutto che la circonda.

Non è un caso, e ne sono certo, che nel manuale istituzionale di Storia della Musica (quattro volumi), l'unico momento critico riguarda proprio il capitolo dedicato al compositore americano che riporta una severa critica di Luigi Nono.

Il senso è: “Voi qui a ridere e a scherzare, mentre nel mondo gli operai...”. Avi del “condividi se sei incazzato”.
L'incapacità di comprendere una via terza alla ricerca di quel senso di uguaglianza tanto caro al mondo politico-musicale rappresenta la più grande sconfitta culturale.

Se in una ipotetica timeline, puoi partire da John Cage e arrivare a Lou Reed, partendo da Luigi Nono, arrivi a Luigi Nono e lì ti fermi. Tributandolo, com'è giusto che si confaccia a un grande artista quale lui fu. Grande, ma fine a se stesso.

Ho provato, negli anni, a svestire quelle parole che il compositore dedicò al pubblico fischiante e questo è il risultato:

“'Gnurant! Dobbiamo fare l'arte comunista, dobbiamo creare i girocolli culturali ma mi rendo conto che voi, sottoproletari, non siete in grado di comprendere la mia arte e che a essa preferite di gran lunga le chitarrette e la retorica di certe poetiche trallallero. Ve lo meritate Paolo Pietrangeli. Abbiamo bisogno di tutti i mezzi per realizzare l'egemonia della classe operaia. Soprattutto io, ho bisogno di mezzi, ché qui finisce a fare quattro festival per pochi intimi e nessuno che compra i miei dischi o che viene ai miei concerti. Porca paletta! Ma cosa volete? Che vada a fare lo scemo a Lascia o Radoppia come John Cage?”.

Presupposto: l'estetica di Nono (soprano escluso) a me piace parecchio. Quella musicale, sia chiaro. Gli intenti e i vari “ti insegno la vita”, li guardo con sospetto. Sospetto su Nono, su Pasolini, su Saviano oggi e su diosolosacchì domani.

Luigi Nono era un compositore colto comunista. Cosa che di per sé significa poco o nulla.
E tutta la sua arte, tutto il suo impegno, oggi, è archiviato in un nostalgico e polveroso passato, ripreso nel corso di concerti tributo – va detto – ben accolti come una rassegna di Nouvelle Vague al cinema. Per vedere com'era. Di certo, non per vedere com'è.
C'è chi la vede come una grande occasione perduta. La più cocente sconfitta artistica che lasciava il passo artistico-politico a De Gregori, Venditti e altri cerchiobottisti del dire di sinistra per opportunità, mandando in soffitta non solo Luigi Nono ma anche tutta la collana de “I dischi del sole”. Paradossale. In quella dicotomia arte colta – arte popolare, ha vinto “Pablo” (ma Pablo chi?), ha vinto “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”.

  • Ma Paolo Rossi chi? Il calciatore? Ma poi che c'entra l'anno dei mondiali '86. Paolo Rossi è stato l'eroe del 1982

  • No, No. Paolo Rossi. Lo studente appartenete all'UGI, ucciso nel 1966 mentre distribuiva volantini nella facoltà di Lettere a Roma.

  • Ah.

  • Sì, all'interno dell'Unione Goliardica Italia, c'erano anche Craxi, de Michelis, Giulietto Chiesa!!!1!!1

  • Ah :(

Ma quindi aveva ragione Nono? Era meglio auto-convincersi che quei suoni trattati e con l'aggiunta della soprana stridente fossero l'unica speranza possibile per creare una cultura musicale di sinistra? Meglio quello o la citazione a Paolo Rossi che tutti pensano sia il calciatore.

L'aspetto interessante di Luigi Nono era che venisse considerato un sovversivo. Boicottato dalla Rai, per un'opera definita all'interno dello studio di fonologia della Rai.
Paradossi radicalmente inspiegabili.

Le liriche de La Fabbrica illuminata vennero considerate pericolose. Peccato che ad ascoltarle, quelle liriche, non si capisca una mazza.
A leggerle invece sì e sono un autentico pugno nello stomaco. Scritte da Giuliano Scabia, con due frammenti aggiunti tratti da un testo di Pavese, quelle parole raccontano in maniera cruda la condizione degli operai nella fabbrica di Cornigliano (e nelle fabbriche in generale).

Alienazione, sadicamente addolcita da un ipocrita convivio comunicativo, in realtà lager per uomini-macchine predisposti a esalazioni nocive: un teatro di morte in attesa della morte generata a causa della speranza di vita.

La semplice registrazione dei suoni naturali (suoni di fabbrica e voci di operai) non convinse Nono che preferì completare l'opera aggiugnendo in post-produzione, altri suoni elaborati su nastro magnetico e la classica colta-soprana atonale (ma perché? ma perché?).

Peccato. La totale necessità di Nono di sfuggire a qualsiasi retorica (nella sua accezione negativa), ci porta, oggi, a doverci privare di alcuni documenti storici importanti.Se avesse centrato l'obiettivo, opere come queste non risulterebbero semi-sconosciute al pubblico tutto. Comunisti e non. Amanti della musica più o meno preparati. Sarebbero storia, sarebbero patrimonio del dire comune. E non lo sono. Potrà anche fare sold out nei festival per pochi intimi.

Forse bastava poco, per trasformare i fischi del sottoproletariato in applausi, senza offendere la cricca di intellettuali, quelli del “Cantiamocela e suoniamocela da soli”. Bastava poco. Bastava pensare anche a loro, al “potere operaio”, a quei ragazzi che Nono, in un momento di tensione, tacciò di essere “incapaci di comprendere”, visto che loro erano anche l'Italsider di Genova, senza giacca di cammello.

Raccontare il disagio dal pulpito, come tanti intellettuali del secondo Novecento hanno fatto, ha portato semplicemente a un distacco di classe ancora più ingiusto e inatteso.

Non rimane altro da fare che riprendere una certa letteratura e tentare di riproporla, svuotata dal dire con il sopracciglio all'insù. Provare a renderla pop, di tutti. Regalare il vinile a chi parla di rivoluzione e non conosce "Il Quarto Stato" (succede anche questo, bellezza). Scherzarci su, togliere l'abito del permaloso. Ascoltarne i fischi e il dissenso in un periodo in cui la comunicazione vince su pay-off incisivi e bugiardi; convincersi che questa letteratura, anche quella di Luigi Nono, riconsciuta l'imperfezione di intenti, può e deve essere una opportunità per aprire una waybackmachine temporale che riporti, lentamente, a uno studio più attento della nostra contemporaneità.

Ascolta La Fabbrica Illuminata

fabbrica dei morti la chiamavano
esposizione operaia
a ustioni
a esalazioni nocive
a gran masse di acciaio fuso

esposizione operaia
a elevatissime temperature
su otto ore solo due ne intasca l'operaio

esposizione operaia
a materiali proiettati
relazioni umane per accelerare i tempi

esposizione operaia
a cadute
a luci abbaglianti
a corrente ad alta tensione
quanti MINUTI-UOMO per morire?

e non si fermano MANI di aggredire
ININTERROTTI che vuota le ore
al CORPO nuda afferrano
quadranti, visi: e non si fermano
guardano GUARDANO occhi fissi : occhi mani
sera giro del letto
tutte le mie notti ma aridi orgasmi
TUTTA la citta dai morti VIVI
noi continuamente PROTESTE
la folla cresce parla del MORTO
la cabina detta TOMBA
tagliano i tempi
fabbrica come lager
UCCISI

passeranno i mattini
passeranno le angosce
non sarà così sempre
ritroverai qualcosa

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