Settimana nera per la musica italiana, impegnata nel rito annuale di auto-sputtanamento detto Festival di Sanremo. In questi giorni illustri critici si arrovellano per capire chi è peggio tra Gigi D'Alessio e Marco Masini, davvero un compito ingrato. E' un po' come stabilire se puzza di più il bottino nei pozzi neri campani o in quelli toscani, ma loro sono professionisti, i giornali li pagano per questo, e quindi si buttano con impegno, turandosi il naso, in questa viscida materia. Mai come ora si apprezza la fortuna di essere recensori dilettanti, il grande vantaggio di poter scegliere di chi parlare.

Prendendo spunto da Sanremo è quasi un obbligo morale parlare di chi in quel posto decise di farla finita nel lontano gennaio 1967 (a quei tempi il rito si teneva un po' prima). "Chi ha ucciso quel giovane angelo, che girava senza spada ?" si chiedeva Francesco De Gregori nella sua struggente "Festival". Quante risposte possibili: il mondo cinico dello spettacolo, l'ottusa predilezione dell'italiano medio per una Orietta Berti qualsiasi piuttosto che per un cantante pensante (tuttora in atto, con altri nomi in gioco). E contro questo muro di gomma, il carattere ribelle e ingenuo, quasi donchisciottesco, di un sognatore che non si voleva arrendere alla realtà. Lo scontro era inevitabile, e fu disastroso. Poi vennero le lacrime di coccodrillo, e subito dopo lo sfruttamento postumo: svariate raccolte, non poche intitolate "Luigi Tenco", come questa del 1972 (RCA), la cui copertina, per creare ulteriore confusione, cambia ad ogni ristampa. Al di là dei pasticci discografici, in queste dodici canzoni, che si bevono in poco più di mezz'ora, c'è un bel saggio dell'arte di Luigi Tenco.

A cominciare proprio dal suo modo puro di essere ribelle, lontano anni luce dal micidiale veleno del maestro Dylan. Le sue canzoni di protesta, come "Io Sono Uno", "Ognuno E' Libero", "E Se Ci Diranno", anche a causa del candore delle musiche, ispirano più tenerezza che fremiti di rivolta, eppure il messaggio è chiaro, il bersaglio ben definito: nelle prime due è il conformismo, nell'ultima è la guerra, la sopraffazione, e la risposta è un semplice coro di "no !, no !, no !". Più sofferta "Io Vorrei Essere Là": qui Tenco mette in discussione il proprio pacifismo, che rischia di tradursi in rinuncia ad agire per cambiare il mondo. Forse meglio essere là, in mezzo a quei soldati ? Il dubbio permane, ed è molto attuale. Più profonde e malinconiche, più ricercate anche musicalmente sono le canzoni d'amore, a parte la vivace "Se Sapessi Come Fai", canzone d'amore e di odio, o per lo meno di incomprensione. In "Ciao Amore Ciao", (presentata a quel disgraziato festival del 1967), e in "Lontano Lontano" a contrastare l'amore è un irresistibile bisogno di fuga, o verso un altro mondo, oppure appunto lontano, nello spazio e nel tempo. Le lunghissime note sospese degli archi di "Lontano Lontano" rendono davvero l'idea della fuga. "Un Giorno Di Questi Ti Sposerò" non è un classico, ma è preziosa per la sua dolce melodia e ancora di più per le sue limpide note jazz di pianoforte, raro segno del primo amore del giovanissimo Tenco, che nelle sue canzoni emerge poco: il jazz. La canzone d'amore e di speranza per eccellenza, forse il capolavoro di Tenco, è "Vedrai Vedrai", qui presente in una bellissima versione intimista, per pianoforte e voce, che ha poco da invidiare alla memorabile e lirica interpretazione di Mina, di qualche anno dopo. Per chiudere, due brani d'atmosfera. "Un Giorno Dopo L'altro", tema ispirato e strumentazione notevole per l'epoca, ha il potere di evocare colori e suggestioni francesi, al punto che fu usata come sigla della storica serie del Commissario Maigret. "Amore, Amore Mio", con le sue tipiche accelerazioni di chitarra, richiama invece le danze popolari greche. Un altro lato poco noto di questo poliedrico cantautore, tutt'altro che sprovveduto anche come musicista.

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