Canzoniere della Sera, Preghiera in Gennaio.


Hotel Savoy - stanza 219, 27 Gennaio 1967. Di quella notte a Sanremo se ne è parlato, e se ne parla ancora, come una maledizione da tramandare oralmente e sottovoce. Da quella notte si fissa l'aura del mito. Muore giovane chi è caro agli dei. Il mito si consolida negli anni perché si tratta di una morte violenta in giovane età che esclude un qualsivoglia giudizio incondizionato. Ma coi miti bisogna essere cauti e fare molta attenzione ad assecondarli acriticamente. A parte quelli che gli stettero davvero vicini, nessuno ne può sapere niente in realtà. Probabile anche, e non da escludere, che Tenco fosse rimasto incantato dalla sua bellezza e che si fosse innamorato della sua immagine per via di una forte, e per tanti versi giustificata, accresciuta consapevolezza della qualità di sé stesso, che mai gli avrebbe permesso di accettare di essere secondo a chiunque non avesse un minimo delle sue doti artistiche per tentare lontanamente di eguagliarlo. Ma il mito spesso fa dimenticare che in futuro la verve creativa e provocatoria avrebbe anche potuto appassirsi, e questo non lo si saprà mai. Tenco era bello, molto bello, si prenda una sua foto qualsiasi, lo si fissi in faccia e poi lo si guardi a lungo negli occhi. Bello e luminoso come il sole che filtra tra gli alberi. La sua virilità è solo una componente del mito. Dopo quella notte s'inaugurò il balletto macabro portato avanti con pertinacia dal necroforo di turno, cianfrusaglia spesso apocrifa per la stampa di settore. Per molti altri, invece, fu la consegna del silenzio.
Fosco fine del secolo morente.

Dolcevita neri a collo alto, camicie bianche, malessere esibito, sigarette Gauloises, letteratura esistenzialista francese, discorsi lunghi notti intere in un mondo ricostruito e rinnovato alla fine degli anni '50. Gli anni della Fiat 600, del Boom economico e televisivo, delle concessionarie dell'Autobianchi, della cuccagna. Qualcuno si suiciderà impiccandosi, i superstiti faranno carriera o invecchieranno male.
Il Cinema dei Telefoni Bianchi ancora in tv, i V-Disc dell'esercito americano mentre che intanto vivevano la stessa epoca autori come Antonioni, Visconti, Elio Petri e che nei cinema si proiettavano film reali come Ladri Di Biciclette. Poi nella seconda metà degli anni '60 il Boom diventa un ricordo e il mondo giovanile si mostra a disagio, diventato target della ricerca di un mercato che si è accorto di un altro settore da smungere mediante i suoi stessi impeti di ribellione; moda, musica, costume, meri elementi da sfruttare dal consumismo. Contrapposizioni, passioni, disperazioni, esagerazioni rinchiuse anche nel volto di Tenco, anche nei suoi silenzi e nei suoi disadattamenti a quella società in espansione. Tenebroso, schivo, uno che non rideva mai, scontroso, disaccomodante. Tutti aggettivi sprecati che fanno parte di quel mito ingannevole, perché era certamente tutto questo, ma anche molto altro ancora. Sicuramente una persona (e personaggio) estremamente complessa tesa a spezzare le pastoie di certi schemi borghesi, ma logorata da viverne le contraddizioni, con un temperamento poco disposto al compromesso ma anche vessato da quelle forti discordanze. Non ha resistito alla lacerazione del rasoio che recide il "pessimismo dell'intelligenza" dall'"ottimismo della volontà", forse. Forse era un altro di quegli individui nati con la tragedia dentro, la meglio gioventù che va sottoterra.

Il cammino artistico di Tenco appare coerente fino alla fine, sempre disposto a mettersi in discussione. Ancora oggi, a chi gli imputasse vizi di ingenuità, sbagli, piccoli cedimenti evitabili, bisognerebbe ricordare che ogni uomo in quanto tale esperisce nel suo andare pieno di ostacoli anche questi punti deboli. Dolori e interrogativi che comunque venivano a galla dall'acqua a volte insoddisfatta, a volte rassegnata, dei suoi testi. Introverso e troppo maturo per la sua età, un flâneur che trascorreva interi pomeriggi seduto su una panchina a lasciarsi accarezzare da venti leggeri, per alcuni e alcune il James Dean di La Valle Dell'Eden. La complessa geonervatura dell'io-diviso di Tenco è difficile da tracciare, ancor meno sarebbe necessario un tentativo di ricomporne il separato, è un lavoro che talvolta appare addirittura irrispettoso.
L'uomo è quello che decide di essere, il rigore e la solitudine, nel suo caso specifico, si fanno valore.
Fu questo l'uomo che decise di essere.

Falso bâtard, maudit, ponderoso. E sì che s'è fatta Quasi sera e si fa buio pesto, d'accordo, ma nel dibattito su Tenco dovrebbe entrarci anche altro. Dovrebbe entrarci per lo meno il Tenco che adorava e suonava Duke Ellington, il Tenco completamente rapito dal piano di Oscar Peterson e dalla voce di Nat King Cole, il Tenco influenzato da Phil Spector per Ciao amore, ciao e che nella stessa canzone c'infilava parti musicali tratte dall'inno nazionale della DDR, così per rendere chiaro alla kermesse da che parte davvero egli stesse. Il Tenco che nella sua biblioteca privata imbachecava Faulkner e Steinbeck, Sartre e Prévert, Huxley e Burroughs, Hemingway e Salinger, Ferlinghetti e Henry Miller, Jack London e Conrad, Flaiano e Moravia, Montale e Fenoglio, Sciascia e Buzzati, Pavese e Campana, Marcuse e Barthes, Rimbaud, Verlaine, Baudelaire, Viaggio al termine della notte, Fuoco fatuo, La cognizione del dolore, Kafka, Lord Byron, Bertold Brecht, pubblicazioni scientifiche, il Tenco che era assiduo ed attento frequentatore del Cinema Aurora, e che da attore, per La Cuccagna di Luciano Salce con la bellissima Donatella Turri, passava notti in bianco per avere l'aria stanca e lo sguardo allucinato e disfatto dal sonno, che per poco non fu la faccia protagonista de I Pugni In Tasca. Il Tenco che gli eteronimi alla Pessoa (Dick Ventuno, Gordon Cliff), il Tenco che con la sua prima band ispirata a Jerry Roll Morton approfittava delle sale semideserte dei night d'alberghi per i suoi esperimenti, che suonava spesso il motivo de Il Terzo Uomo, che amava la logica compositiva di Chet Baker e meno la fin troppo manifestata visceralità di Miles Davis, che comprava sax contralti Selmer Aristocrat per poter sapere di utilizzare lo stesso strumento di Charlie Parker, che cantava Gershwin e suonava Liszt, che aveva un controllo eccellente della sua voce tipico dei suonatori di strumenti a fiato, che era interprete e cantante sofisticato, che alla radio parlava di Donovan con Herbert Pagani, che in uno spettacolo in televisione, Incontro con Luigi Tenco, veniva applaudito con inaspettato fervore dopo l'esecuzione di Ognuno è libero da un giovane Giusva Fioravanti. Il Tenco che ovviamente Brassens, Brel, Boris Vian, che aveva percepito per anni una regolare paga da orchestrale, che era un gran barzellettiere e una persona divertente, che era normalmente umano e a tal punto vicino ai suoi affetti da chiedere un figlio alla sua compagna Valeria.

Più che chanson e jazz, tra le influenze del Tenco cantautore su tutto c'era l'ammirazione per Le canzoni della cattiva coscienza del collettivo di Cantacronache (1957-1963) a cui aveva collaborato anche Italo Calvino e il repertorio di musica civile del Nuovo Canzoniere Italiano. Ma Tenco a differenza di questi non scriveva per pochi intellettuali, scriveva canzoni per capire e farsi capire, canzoni disadorne, minimaliste quasi, essenziali. Restava comunque estraneo al concetto di facile orecchiabilità e commerciabilità, usava congiuntivi e congiunzioni in procedere discorsivi, aboliva e non lavorava sulla rima baciata preferendole forme in prosa, evitava il ritornello, un lavoro per l'epoca estremamente difficile per gli ascoltatori della canzone gastronomica. Creativo eclettico e disciplinato, ha lasciato sceneggiature per film (prevedeva per sé un futuro da documentarista nel Terzo Mondo), racconti, invenzioni per l'industria navale e anche canzoni strofiche drammatiche in una discografia a suo nome esigua ma significativa. Ad un certo punto avrebbe voluto smettere di fare il cantante per scrivere solo per altri. Rimaneva ad ogni modo fuori dalle agevoli collocazioni tra gli scaffali dei negozi di musica entro i quali si riduceva il complesso a propria misura. Tenco desiderava la canzone come mezzo artistico non relegato, come fino a quel momento, a modesto tramite d'evasione. Così facendo spesso si metteva in opposizione al suo stesso ambiente che, come tutti gli altri ambienti, si reggeva su complicità tacite e reciproche. Guai a mettersi fuori o in posizioni contrarie al proprio habitat, e Tenco lo faceva spesso disprezzando apertamente alcuni suoi colleghi. "I veri indici delle situazioni politiche interne non sono i cosiddetti 'circoli ufficiosi', ma senz'altro le canzonette" diceva Steno. Sembra non avesse tutti i torti.

Tenco aveva carattere, e chi ce l'ha, di solito, per le menti sin troppo semplici ha un brutto carattere. Dicevano di lui una bravissima persona con un pessimo carattere, appunto, un tipo impossibile, acre, effetto forse di letture male assimilate. Quando in televisione gli chiedevano di sorridere mentre cantava le sue canzoni s'incazzava come una bestia. Ma chi fa i dischi vuole venderli, non c'è mai stato nulla di male in questo, e anche lui voleva venderli e le sue erano soprattutto canzoni d'amore.
Sicuramente contrario alla mercificazione dell'arte e ad un provincialismo esterofilo per di più apprezzato da stampa e televisione, comunista critico che contestava chi manifestava per i problemi lontani del Vietnam senza accorgersi delle proprie, vicinissime, guerre domestiche, preferendo fare il verso alle proteste altrui, ma non praticava quasi per niente la "liberazione dai bisogni" marxista, anzi, metteva subito in chiaro che soldi sperava di farne, e una volta che li avesse fatti non li avrebbe di certo devoluti all'Azione cattolica ma se li sarebbe tenuti e mangiati, perché era più che cosciente e non scordava mai che la musica popolare già a lui contemporanea era soprattutto un fatto commerciale, come a dire che la morte si sconta vivendo.

Nel 1962, anno di questo primo LP eponimo, c'è anche l'avvento di Dylan, una realtà artistica che non potrà mai più essere ignorata. Qualsiasi tentativo di scrivere testi non all'altezza da allora sarebbe stato vergognoso da parte di qualsiasi autore. Dylan inarrivabile e ineguagliato, velenoso, non compromesso, che se le scriveva e suonava per sé stesso e non per accontentare le aspettative del pubblico. Dylan che dominava una cultura che andava dalla letteratura europea a quella sperimentale americana, alle conoscenze psichedeliche e anfetaminiche. Tenco, dal canto suo, le cose te le diceva con un lucore che era per niente innocente (Cara maestra). Ritardava le melodie vocali per raccontare che vallea di lacrime, ma anche che "posto delle fragole", fosse per lui l'eterna Ricaldone (La mia valle). Che il bello della sera non fosse soltanto uscire te lo rivelava in un galoppo da foxtrot in Io sì, un brano zeppo di allusioni erotiche e passionali molto spinte per quei tempi. Tenco volle fortemente questo LP, stanco oramai dell'evenemenzialità da Café Chantant dei 45 giri, voleva finalmente un'attenzione prolungata. Musiche meravigliose da operetta, che sanno di bar, di fabbriche, di salotti d'Italia anni '50, condotte da Boneschi e Reverberi, entrambi interni alla casa Dischi Ricordi, e dall'allora sempre presente Bacalov. L'odore delle stoffe nelle sartorie e, per La mia valle, il Capriccio Italiano di Ciaikovski. Favole immaginate (Il mio regno, Il tempo passò) e poi quel colpo di grazia che fu Mi sono innamorato di te, canzonetta che allora come oggi si tiene fuori dal male, fuori dalla banalità. Restarsene fuori dalla banalità, dopotutto, è facile. Basta raccontare la propria verità senza nemmeno porgere scuse. La verità punto e basta, anche quella apparentemente più meschina, e disimpegnarsi così da cliché e luoghi comuni deprimenti che ammazzano il pensiero rendendolo la morte dell'immaginazione, perché il pensiero come l'oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare, perché lo protegge il mare. Amore senza simulazioni e con disprezzo verso la falsa leziosità della gente dabbene. Perché in fondo l'amore è importante finché c'è, quando non c'è non esiste ed è un dato di fatto che Lavorare stanca.

Con i miti bisogna essere cauti si diceva. Luigi Tenco è stato un personaggio molto particolare, di una curiosità intellettuale disorganica e disorganizzata tipica dell'autodidatta. Una curiosità molto viva, ma verosimilmente fredda, tutta di testa, che nascondeva con cura i suoi entusiasmi al punto da apparire quasi indifferente. L'amore per la matematica, il suo starsene appartato alle feste, che da adulto avrebbe assunto come una posa, derivava evidentemente da una condizione di effettivo disagio. Anche il corpo di Tenco è indubbiamente parte del suo mito. Occhi penetranti completamente neri il cui fascino algido era dovuto ad uno scompenso tiroideo, mani imbruttite dall'onicofagia, tormenti e piccole fobie come la paura dei tuoni e del buio, tante affinità coi gatti nonostante allevasse solo cani, infantile nell'accezione buona del termine. Frequentava personaggi fuori dal comune, alcuni di questi sarebbero finiti suicidi, ma non di un suicidio disperato, quanto di un suicidio filosofico come quello delineato da Camus. Una kenosis dove si afferma la volontà di scelta, non di innalzamento a Dio, ma di suo abbassamento al livello umano. Tenco più volte si era espresso critico e contrario circa le scelte di togliersi la vita. Avrà probabilmente sperimentato ma, a quanto pare, non ha mai esagerato con gli psicotropi, teneva sotto controllo quelle circostanze, meno sotto controllo era la situazione con i farmaci come il Pronox. In exitu un uomo reale, lontano da certe caratteristiche che con gli anni gli sono state cucite addosso come latore di una qualche disgrazia inevitabile. Non era solo cupo, era innanzitutto maledettamente intelligente. Bello e profondo come il bosco di notte e senza dubbio anche vittima di una forte sensazione troppo precoce di sconfitta e disillusione per un lavoro inutile e una realtà che non gli piaceva e basta.
Morì che aveva neanche 29 anni ma sembrava portare con sé le consapevolezze e il peso della vita di uno che ne avesse ottanta. Ma in sostanza era soltanto ostinatamente intelligente, diverso, interessato, e come avrebbe scritto poi quell'altro genio a venire che fu Freak Antoni Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti, allora come oggi. Questa è la stanza, l'esterno si fa notte.
Questo nostro vuoto, questo vostro canzoniere della sera al grammofono. Ritratti di un uomo a metà.
Saltare cent'anni in un giorno solo / In un giorno cent'anni saltati di volo.
Verrà la morte e avrà i nostri occhi e allora Tutti morimmo a stento. E così sia.

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