"Un Chien Andalou" è il film che nasce nel periodo del surrealismo francese, in quel glorioso 1929, quando Bunuel e Dalì diedero vita a quello che sarà il capolavoro del cinema all'avanguardia: un'opera che in soli sedici minuti comprende le più folli ed insane emozioni che la settima arte abbia mai potuto offrire nel fiorire dei suoi anni.

Un continuo susseguirsi di immagini macabre e angoscianti, impregnate di poesia necrofila, senza un apparente motivo: sembra di assistere ad una nevrotica esperienza onirica extrasensoriale.

Tutto inizia con un occhio (paragonato alla luna piena) squarciato da un rasoio perfettamente orizzontale: l'incredibile gesto di squarciare l'occhio dello spettatore per forzarlo, anche a costo di sofferenze e pene corporale, tutto ciò che non ha mai visto, anche la realtà più inquietante e profonda. Una vera e propria sequenza schock che diede il via al gore nel cinema, che non sempre prenderà radici profonde e riflessive come quella di questo film, che è un vero e proprio delirio cinematografico, dove i dati temporali non fanno che essere forvianti e a rendere il tutto ancora più delirante ed estremo.

La pulsione erotica di un uomo, l'attesa di essere toccata dalla donna (che però rifiuterà l'impulsivo gesto dell'amato). I ricordi del passato e infine una passeggiata in riva al mare, con amore quasi trionfante: sono ingoiati dalla sabbia, così vicini, ma impossibilitati a toccarsi, a fare l'amore.

Nel mezzo? Una mano mozzata divorata dalle formiche e un pianoforte (a cui sono legati due preti, di cui uno è Dalì) su cui giacciono due asini morti divorati dei vermi (critica contro il sesso condannato dalla Chiesa).

Il tutto fotografato in un bianco e nero sporco, sporchissimo e datato, in modo da rendere questi sedici minuti sempre più strazianti: immagini estreme e di impatto incredibilmente feroce, che risultarono offensive in un'epoca educanda, non ancora abituata al fenomeno del cinema surrealista e dadaista.

Un piccolo capolavoro.

Ne sarete rapiti.

Lasciatevi squarciare.

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