Il caro Brian 'Lustmord' Williams non si abbandona alle ardite sperimentazioni da ormai parecchio tempo: saranno i trent'anni di carriera alle spalle, sarà il suo stesso inconfondibile dark ambient che, album dopo album, diventa sempre più difficile e pesante da modellare e gestire senza ripetersi; fatto sta che, di fronte al rischio di un brusco calo d'ispirazione, l'artista ha deciso di liberarsi della sua attitudine da sempre un po' misantropica per affidarsi ad alcune collaborazioni non di poco conto: questo enigmatico “[OTHER]”, uscito nel 2008, si avvale di una tosta musicianship, composta da Adam Jones dei Tool, Aaron Turner degli Isis, Buzz Osborne dei Melvins (col quale aveva già collaborato in precedenza) e infine Paul Haslinger dei Tangerine Dream; mica gentaglia.

Tutte le carte in regola, dunque. Il risultato un po' meno.

Lustmord preferisce aprire da solo i cancelli del suo mondo criptico e malsano attraverso la minacciosa e contorta “Testament”: nulla di nuovo sotto il sole (anche perché di sole ce n’è ben poco), solo lui, in tutta la sua grandezza. A differenza del precedente “Juggernaut”, “[OTHER]” presenta fin da subito sonorità molto più frammentarie e sfaccettate, e ciò lo si può notare con la digrignante “Element”, un macabro risucchio nel vuoto che ricorda molto il feeling introverso di “Carbon/Core”. Aaron Turner fa un po’ la ciliegina sulla torta innalzando muri di suono vaghi e disturbanti, preludendo all’immensa “Godeater”.

Quest’ultima, sfiancante nei suoi 22 minuti, non presenta particolari evoluzioni: il lentissimo progredire di drone ipnotici ed oceanici viene di tanto in tanto graffiato, corroso dai solitari arpeggi della chitarra di Adam Jones. Un incubo limaccioso e sottomarino che non prende mai forma, un serpente di cui non si riesce ad afferrare la testa. E, forse, per questa sua incompiutezza formale è un mattone piuttosto pesante da trangugiare al primo colpo. Tale difetto è probabilmente il principale problema dell’album: se in gran parte dei lavori passati di Lustmord la forma impeccabile era il principale exploit che manteneva composto e “digeribile” anche il brano più lungo, in “[OTHER]” alcune tracce sembrano architettate troppo poco efficacemente.

Che sia conseguenza di una mancanza d’ispirazione od una scelta ben ponderata non importa più di tanto; crea in ogni caso una certa difficoltà di comprensione nell’ascolto. In effetti faccio ancora fatica a capire il senso di un brano come “Dark Awakening”: una nebbia di schitarrate dissonanti ed impacciate (ad opera di Adam Jones) si protrae per qualche minuto per poi culminare in un silenzio paranoico, coperto da una debole rete di effetti. Brano ostico, anomalo e troppo ermetico. Ma chi può dirlo, magari Lustmord ha solo cambiato registro e io sono scemo a non seguirlo.

Ad ogni modo, il resto dell’album procede tra alti e bassi: se “Ash” nella sua concisa durata risulta troppo rarefatta ma nel complesso dotata di una suggestiva atmosfera sotterranea e metropolitana, “Of Eons” procura nove minuti di sbadigli, vista la fastidiosa assenza di un’atmosfera definita e la superficiale gestione degli effetti. “Prime [Aversion]” non è da meno; oltre a non dire nulla di nuovo, quel poco che riesce a infondere si dissolve nella sua lunghezza esasperante. Fortuna che “Er Ub Us” allontana un po’ la situazione ormai sull’orlo del baratro, quel poco che basta per concludere un disco riuscito a metà.

“[OTHER]” incarna probabilmente lo spirito più viscerale e contorto dell’arte di Lustmord. Senza dubbio contiene ottimi episodi, specie grazie agli interventi dei guests, ma è un peccato che questi aspetti positivi vengano sotterrati dalla seconda metà dell’album, lasciando così un senso di vuoto ed indifferenza al termine degli estenuanti 78 minuti. Anche avendolo assimilato dopo ripetuti e fatidici ascolti il voto non può andare oltre la piena sufficienza; e speriamo che Brian non combini pasticci ben peggiori.

"There are some things that should remain unseen..."

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