Estate 1974: rovistando nel banco delle offerte di un negozio di dischi mi imbatto nell'album in questione: foto di copertina che più sudista non si può, sette energumeni vestiti da mercato delle pulci, con tanto di chiome abbondanti e bisognose di shampoo.

Mi vengono in mente gli Allman Brothers, che stimo ma non amo, troppo "sbrodolate" alcune loro sequenze, troppo blues, forse. Però il disco costa solo Lit. 1.500 invece delle solite 3 o 4.000 (sic!) decido per un acquisto "al buio", me lo porto a casa e intanto che parte il primo pezzo "I Ain't The One" scruto le note di copertina: sono in sette perché hanno tre chitarristi! Mai visto!

Dalle mie casse esce un roccaccio bello grezzo, rollingstoniano, a cui un pianista (Billy Powell) svelto di mano impedisce di diventare rock duro. La voce però, la voce é quanto di meno inglese si possa immaginare, niente di speciale tecnicamente, ma così carica di fumo, bourbon e sud da non crederci. Ronnie Van Zant é il nome dietro a quella voce. Arriva il secondo brano "Tuesday's Gone" ed é una ballata bella sapida, con una slide caldissima che gira intorno all'armonia e mi "tocca". Chi la suonerà dei "tre"? Per fortuna le note di copertina sono esaustive e così sono per la prima volta a gustarmi la (oggi) mitica Les Paul di Gary Rossington, all'epoca un bassetto magro e con la faccia poco raccomandabile, oggi un ciccione che suona ancora come un demonio, rilassato e "caldissimo". Arriva "Gimme Three Steps" e qui mi godo il testo. Ronnie racconta di stare abbordando una certa Linda Lu, al bar, quando arriva, incazzato, il suo uomo... "Dammi tre passi, Mister, e non mi vedrai mai più!" Fantastico!

I pezzi si susseguono, alcuni ispirati, altri proprio "telefonati". La produzione è assai grezza... chi é? È Al Kooper, quello un pò sfigato che se ne andò dai Blood Sweat & Tears prima che sfondassero, poi fece un disco con Stephen Stills prima che si arricchisse con Crosby e gli altri, stai a vedere che... (infatti andò proprio così, litigò anche con i Lynyrd dopodiché... bum!). E sono all'ultimo pezzo, si chiama "Free Bird", di nuovo una ballata, non male, un pò prevedibile anch'essa, ma no, parte una coda strumentale in tempo serrato con un assolo di chitarra compatto e tosto, cacchio che energia! anche perché non la smette più... e il bello é che si mantiene interessante... soprattutto tira da morire... minchia quanto ci dà dentro... ma quanto cacchio é lungo... e lamadonna! L'assolo sfuma lasciandomi basito. Sei minuti di schitarrata devastante, ma chi é? È Allen Collins, quello dei tre, scopro, colla Gibson Firebird. Guardo le sue foto sull'album e non ci credo, é alto ma secco come un chiodo, decisamente sottoalimentato e anche lui con una faccia da delinquente, incorniciata da spettacolari capelli ricci e lunghi fino ai reni. Mette soggezione, dopo che ho sentito di cosa é capace!

Agosto 2006: lungi da diventare uno dei miei gruppi preferiti in assoluto, dei Lynyrd conservo con nostalgia questo ricordo "pionieristico", avendoli intercettati quando nessuno li conosceva ancora. Oggi il rock sudista é di nuovo fuori moda (ma i Black Crowes, FANTASTICA band, sono di nuovo insieme, mi risulta). Rossington é grasso ma bravo l'ho già detto, Van Zant manca da 29 anni e Collins da 11, il gruppo porta indomito in giro il suo mito (dovuto anche alla nota disgrazia del 1977, riconosciamolo) per tutti gli USA. Il disco in questione mostra oggi ampiamente la corda in termini di suono e discontinuità compositiva ma restano, purissime e intatte, le sensazioni di autenticità e spontaneità: suonavano quello che erano. Cantavano quello che vedevano e facevano, amavano la loro vita.

E poi, l'Allen Collins della coda di Free Bird é uno dei dieci assoli da portare nella classica isola deserta.

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