Oggi i Macbeth sono una band completamente diversa da quella che era agli esordi; della line-up originaria è rimasto soltanto il batterista e leader Fabrizio. Anche le visioni musicali che la animano sono cambiate (almeno stando a quanto dicono le recensioni di "Malae artes" e gli stessi componenti in sede di numerose interviste): oggi, senza dimenticare o rinnegare quanto fatto in passato, si punta più sull'orecchiabilità, sui ritornelli, sulle melodie dirette e su brani di breve durata, seguendo vagamente il percorso tracciato da Lacuna Coil ed Evanescence.
Un tempo invece era la scena norvegese, quella del gothic metal più elegiaco e decadente, ad animare ed ispirare la musica del combo milanese. "Romantic tragedy's crescendo", debutto d'annata 1998 per Dragonheart Records è, sin dal titolo e dalla copertina, una dichiarazione di intenti: i Macbeth miravano (e mirano tuttora, ma in chiave più moderna) a ricreare le atmosfere di una tragedia shakesperiana, dolorose e piene di passione, con la cupa ombra della morte che aleggia perennemente sugli scenari, tra belle storie d'amore e ambientazioni romantiche e notturne. Tutto ciò potrebbe far sorgere un dubbio tra i più maligni: dato che un tempo si avvicinavano molto ai Theatre of Tragedy (la band più famosa nel genere ai tempi in cui uscì questo disco), ed ora agli Evanescence, i Macbeth sono forse dei gran copioni?
La risposta è senza alcuna ombra di dubbio negativa: come già detto nella recensione di "Vanitas", il gruppo ha dalla sua una passionalità tutta mediterranea, che anche in questo disco si fa sentire, che li distingue e li fa apprezzare, alla quale vanno ad aggiungersi influenze heavy metal ed una cura particolarmente minuziosa per le melodie. Un altro punto di continuità tra i due album sono le tastiere, avvolgenti e dirompenti come da tradizione; costanti sono anche le parentesi recitate dal forte impatto (che brividi quando i due singer si sussurrano frasi misteriose tra loro). Se poi prendiamo in considerazione il fatto che ad interpretare il ruolo della Bella e della Bestia (o di Romeo e Giulietta, come preferite) allora c'erano Vittorio e Cristina, possiamo analizzare la diversità delle due line-up per quello che è uno dei tratti distintivi dei Macbeth, ovvero le vocals. Dunque, lui è perennemente ancorato ad uno stile gutturale, non molto vario e profondo a dire la verità (se escludiamo il violento scream che ci assale nel finale di "Thy mournful lover"); Andreas, il cantante attuale, è molto più aggressivo e a suo agio negli scream ed ha un cantato pulito da brividi e di sicura efficacia. Lei invece si dimostra molto più abile della subentrante Morena (il mio giudizio si limita comunque all'ascolto di "Vanitas"), nonostante non brilli per chissà quali doti interpretative o registri da cantante lirica, ci risparmia almeno cadute di stile e stonature. Gli elementi sembrano dunque bilanciarsi.
Continuando con i paragoni tra i due album, a "Romantic tragedy's crescendo" mancano forse un po' d'eterogeneità, guizzi di genio e variazioni di tema, ma non possiede, a differenza di "Vanitas", episodi riempitivi o canzoni inascoltabili; i nove brani sono tutti sufficienti ed ispirati, sebbene piuttosto omogenei. Su tutte risalta la bellissima ballad sinfonica "Moonlight caress", con la sua dolce atmosfera notturna, delicata come la luce lunare che illumina il pallido volto di una donna, rigato dalle lacrime di una sofferenza implacabile. Un innocente capolavoro, quello che purtroppo non troveremo nell'album successivo.
Insomma, da quanto si sarà sicuramente capito, la mia bilancia non pende né da una parte né dall'altra, è stabile e riscontra una parità assoluta tra i primi due album dei Macbeth. Nonostante il cambio di line-up, la band non si certo è snaturata, maturando un sound molto debitore nei confronti del passato, che dopo l'ascolto di questo debutto dotato di un fascino primordiale ed innocente, mi sento di definire glorioso. Ora non mi resta che andare a vedere dove li avranno portati gli ammodernamenti di "Malae artes".
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