Tra orchestrazioni sintetizzate e note d'organo ha inizio "Vanitas", il secondo capitolo della saga dei Macbeth, combo milanese la cui fama è sempre stata oscurata dalla commercialità leggermente più spiccata dei conterranei Lacuna Coil. Sebbene la Dragonheart non abbia potuto (per ovvie motivazioni economiche) offrire ai Macbeth la produzione che la Century Media fu in grado di offrire ai colleghi, anche i Macbeth disponevano nel 2001 di un potenziale singolo, accattivante e melodico, capace di estrapolarli dalla scena "underground". Stiamo parlando di "Crepuscularia (Agony in Red minor)", episodio che punta tutto sulla melodia delle tastiere e sulla teatralità della voce maschile e ci presenta la band come una versione meno estrema dei Theatres Des Vampires dell'era "Suicide vampire". Atmosfere sulfuree e passionali sono quelle create dalla tastiera, evocante immagini di oscuri e lugubri castelli dove, in stanze adornate di velluto rosso ed illuminate dalla flebile luce di una candela, si consumano romantiche storie passionali degne di una tragedia shakespeariana (non a caso il nome della band viene da una delle sue maggiori opere teatrali). Poderose chitarre heavy fanno da contraltare. Peccato per la scarsa produzione, che non valorizza appieno il lavoro di basso e batteria, rendendo i suoni prodotti da questi strumenti una fastidiosa pulsazione in sottofondo.

Buone premesse dunque quelle mostrate dalla band, ma se i vecchi Theatre Of Tragedy sono restati i maestri indiscussi del metal di stampo gotico-teatrale, un motivo ci sarà. Certo, i Macbeth saranno anche bravi esecutori di uno stile collaudato, ma hanno toppato in pieno nella scelta di quello che dovrebbe essere uno dei segni particolari di questo sound: la voce femminile, in questo disco autrice di stonature più che evidenti, fastidiosa in qualsiasi frangente, eccezion fatta per le parti recitate, che hanno in sé una componente tragica non indifferente, in grado di distinguere la band dai mille cloni che spopolano la scena. "Lady lily white", seconda traccia, purtroppo denota una forte carenza qualitativa anche nella voce maschile, poco incisiva nel growl quanto forzata nelle parti pulite. Ciononostante la traccia è veramente bella in chiusura, dove il lavoro sopraffino è delle chitarre. Parte bene "Fables", con un'azzeccata melodia tastieristica, teatrale e ossessiva, ma il tutto viene infangato dalla prova vocale di entrambi i cantanti e da un ritornello che cita senza pudore i primi Lacuna Coil (ovvero quelli contemporanei ai Macbeth di "Vanitas"). "Aloisa" si ritaglia uno spazio a sé stante: in essa troneggiano atmosfere medioevali e malinconiche, sorrette dalla delicata armonia creata dalla chitarra acustica e dal pianoforte, sui quali si staglia la voce femminile, che lungi dall'essere fastidiosa, si rivela inaspettatamente efficace in questo contesto, con il suo canto mesto e disincantato. Sempre ottima è invece nelle parti recitate (dominanti in questo episodio) pregne di dolore e disperazione. Dopo un incipit che ricicla quanto già fatto con alcuni brani precedenti, è ancora il Teatro dei Vampiri ad essere saccheggiato per la resa finale di "El diablo y la luna". Abbraccia toni più soffusi e notturni "Pure treasure", sorretta inizialmente dalle tastiere (come sempre evocative) e da versi recitati da entrambe le voci per lasciare poi spazio alle melodie romantiche delle chitarre e a sussurri disperati. Il tutto culmina in un intermezzo, un romantico stacco di pianoforte (non può che richiamare alla mente una delle band maestre del romanticismo in chiave metal, i mai troppo celebrati The Sins Of Thy Beloved) che lascia poi spazio ad un caldo ed avvolgente solo chitarristico. Eccolo, il culmine emotivo dell'opera. Anonima sarebbe invece "Green orchestra (Sonata for leaves and trees)" se non fosse per quella meravigliosa e poetica chiusura dove si staglia un monologo femminile a cui fa da sottofondo un elegiaco violino. Approdiamo verso lidi prettamente gotici con "Romanzo nero", altro capolavoro dell'opera, dove le chitarre si ritirano per lasciar spazio ad orrorifiche orchestrazioni e disperati versi recitati dalla voce maschile. L'inquietante "Porteremo il nostro segreto lontano" pronunciato da due voci infantili porta poi la tensione accumulata ad essere liberata nella conclusione affidata al duetto tastiera-chitarra. Vuole apparire tormentata la protagonista femminile in "Haeresis Dea", ma le uniche a soffrire di tanta brutalità vocale sono purtroppo le orecchie dell'ascoltatore. Ed è con una chiusura atmosferico-sinfonica, che richiama alla mente i primi Cradle Of Filth, che, tra alti e bassi, si conclude la tragedia inscenata dai Macbeth.

Sebbene evidenti siano le lacune in fase di produzione e l'originalità spesso vacilli, e nonostante il disastro sia stato sfiorato per quanto riguarda sezione ritmica e performance vocale, in questo lavoro i Macbeth dimostrano una notevole bravura nel modulare melodie struggenti (sempre ottimo l'uso delle tastiere e della chitarra solista), che abbracciano non soltanto il gothic, ma anche l'heavy metal, e disegnano atmosfere oscure, tragiche e intrise di sofferenza. Sono molto desideroso di ascoltare "Malae artes", ultimo lavoro del combo italiano; spero soltanto che decisive modifiche siano state apportate dietro ai microfoni.

Elenco e tracce

01   13 November (00:52)

02   Crepuscularia (Agony in Red Minor) (07:13)

03   Lady Lily White (06:21)

04   Fables (05:05)

05   Aloisa (04:20)

06   El Diablo y la Luna (07:15)

07   Pure Treasure (07:02)

08   Green Orchestra (Sonata for Leaves and Trees) (07:36)

09   Romanzo Nero (04:20)

10   Haeresis Dea (06:54)

11   Hall of the Scarlets (03:49)

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