Cinque domande impossibili a Aldo Fabrizi
Dalla nostra postazione impossbile, dopo i fortunati episodi che ci hanno visto intercettare Serge Voronoff, Garrincha e il Presidente Saragat, ci colleghiamo per trasmettervi in diretta una nuova intervista impossibile.
Vi ricordiamo che tutto questo è reso impossibile dalla nostra strumentazione speciale che ci permette di abbattere ogni barriera spazio-temporale e quel confine sottile tra la vita e la morte, nonché dalla nostra preparatissima e accuratamente selezionata squadra di tecnici radio. Senza di loro questa trasmissione, ammesso che fosse veramente possibile, non esisterebbe.
Dopo avere ospitato una personalità, come dire, molto discussa come quella del Presidente Saragat, abbiamo oggi ospite un altro nostro connazionale e una figura che definirei 'unificatrice', trattandosi in questo caso di una persona dalla elevata caratura morale. Questo prima ancora che essere uno dei più grandi attori della storia del teatro e del cinema italiano.
Sto parlando del cavaliere Aldo Fabrizi.
Nato Aldo Fabbrizi (1905-1990) presso una umile famiglia romana, rimase giovanissimo orfano del padre Giuseppe, di professione vetturino, e per contribuire al sostentamento della famiglia (tra cui la sorella Elena, conosciuta come 'Sora Lella'), si adoperò a fare i lavori più disparati.
Questo non fermò la sua vocazione artistica. Già nel 1928 pubblicò un volumetto di poesie romanesche e cominciò a calcare le scene, fino a mettere in piedi una propria compagnia teatrale. Fece l'esordio sul grande schermo nel 1942.
Nel dopoguerra divenne uno degli attori più popolari del cinema italiano.
Fatta la debita presentazione, lasciatemi introdurre finalmente il nostro ospite.
A nome mio e di tutto i nostri ascoltatori, buonasera cavaliere.
F. Ma che cavaliere e cavaliere... Io sono Aldo Fabrizi e basta. Che bisogno ci sta di tutte queste formalità. Cavaliere ora. Ma lasciamo perdere.
Buonasera a te e a tutti i nostri ascoltatori.
Mi scusi cavalie...
F. Ahè...
Volevo dire: mi scusi signor Fabrizi. Benvenuto.
Se non le dispiace, comincerei con la nostra intervista.
F. Ma sì, facciamoci quattro chiacchiere.
1. Se permette, comincerei questa nostra intervista parlando dei suoi inizi. Mi riferisco agli anni venti, in cui cominciò - contemporaneamente allo svolgimento di altre attività - a esprimere la sua vocazione artistica prima scrivendo e successivamente calcando i palchi teatrali. Questo avveniva tra gli anni venti e gli anni trenta e in quelli che furono anni difficili per il nostro paese. Che cosa ci può raccontare di quegli anni e dei suoi inizi come attore di teatro? È vero che già durante quegli anni avvenne il suo primo incontro con Alberto Sordi?
F. Ma furono anni difficili all'inizio. Mio padre morì quando io avevo solo undici anni e allora mi dovetti impegnare a fare diversi tipi di lavoro: ho fatto il fattorino e il meccanico, il guardiano notturno e il postino... Insomma si faceva tutto quello che si poteva fare per andare avanti. Poi nel 1928 pubblicai un volumetto di poesie romanesche che si intitolava 'Lucciche ar sole' e da lì poi... Prima cominciai a scrivere sul 'Rugantino', che era un giornale dialettale che ci aveva una lunga storia e diciamo una certa fama tra i letterati dell'epoca. Quelli che erano interessati alla poesia, diciamo così. E poi cominciai a lavorare in teatro recitando le mie poesie e come si diceva allora, come 'macchiettista', interpretrando dei ruoli che poi ho ripreso nel corso degli anni: il vetturino, il tramviere, lo sciatore...
Alla fine mi riusciva pure facile perché molti di questi ruoli erano attività e professioni che io avevo veramente svolto. A parte il fatto che proprio mio padre prima di morire faceva il vetturino.
Ma come era la vita durante gli anni del fascismo e sotto l'occupazione dei tedeschi?
F. Io qua posso rispondere per quello che mi riguarda. E diciamo che se prima che cominciasse la guerra magari la pensavo in una certa maniera, dopo ecco facciamo che mi sono reso conto che le cose è che andavano poi tanto bene. Non so se mi sono spiegato...
Ritornando alla mia attività teatrale, alla metà degli anni trenta, mo non mi ricordo esattamente quando, fondai questa mia piccola compagnia teatrale. Ma non è che giravamo tanto, eh, stavamo per lo più sempre a Roma che a me non mi è mai piaciuto tanto viaggiare. E comunque sì, proprio in quegli anni conobbi Alberto Sordi.
Si accorse subito del suo talento?
F. Ma era un ragazzino e poi rimase nella compagnia per poco tempo, però si, si vedeva già che c'aveva talento e che aveva studiato.
È stato lui il più grande attore italiano di tutti tempi?
F. Questa è una bella domanda. Sicuramente Alberto Sordi è stato un grandissimo attore, ma se mi chiede chi sia stato il più grande e allora la risposta non può che essere una sola.
Totò?
F. E ma sì. Per forza. Totò è stato grandissimo. Un grandissimo attore e ancora più grande, se possibile, come persona. Lavorare con lui è stata una vera gioia. Non c'avevamo mica bisogno di un copione: molto spesso improvvisavamo. Oddio molto spesso... Quasi sempre per la verità. L'unico problema è che alla fine a volte era difficile non scoppiare a ridere perché eravamo come spettatori di noi stessi. Bei tempi.
2. Veniamo ai suoi inizi come attore di cinema. Il primo film è del 1942 quando recita in 'Avanti c'è posto' di Mario Bonnard, che la dirige anche nella pellicola seguente, 'Campo de' fiori'. Nel 1943 recita in 'L'ultima carrozzella' di Mario Mattioli e con Anna Magnani. Ma è vero che aveva un rapporto difficile con Anna Magnani?
F. Ma no. Che rapporto difficile. Ognuno faceva il suo ruolo di attore. Quello che si doveva fare. Lei in quel film faceva un'attrice di varietà, mentre io facevo la parte di questo vetturino che avevo ripreso dai miei vecchi personaggi che già facevo a teatro... E mi ricordo che io poi feci recitare nel film Scotti. Tino Scotti. Che era un caratterista bravissimo e che avevo conosciuto durante quegli anni. Scotti era veramente bravissimo, quando era ragazzo aveva pure giocato a pallone con l'Inter prima di cominciare a dedicarsi al teatro. Nel film gli feci fare un personaggio che era una specie di attore, che nella vita era uno spasso, ma davanti all'obiettivo proprio non ce la faceva. Un personaggio che lui fece a meraviglia.
E poi ci stava Mario Mattioli, che per me è stato più che un amico. Un fratello.
Nel 1945 invece fu la volta di 'Roma città aperta' di Roberto Rossellini e in cui lei interpreta la parte di Don Giuseppe Morosini...
F. Su questo film si raccontano un sacco di storie...
Intanto bisogna precisare che sto film non esisteva all'inizio. Ci stava 'La morte di Don Morosini' scritto da Alberto Consiglio che poi divenne capocronaca a 'Il tempo'. Fu un film girato a pezzi e girato dove capitava e in particolare in un teatrino che stava in Via degli Avignonesi e che stava vicino a un locale di quelli lì che... Insomma ci siamo capiti. E Rossellini era un frequentatore.
È vero che non ha avuto nessun compenso per...
F. Manco 'na lira.
E Rossellini come dirigeva?
F. Mmmmh... E dirigeva bene. Cioè s'è visto. Ha vinto un sacco di premi. Come doveva dirigere. Era bravo.
3. Il periodo di maggiore successo popolare possiamo dire che va dal dopoguerra fino all'inizio degli anni sessanta. In questo periodo credo che abbia interpretrato qualche cosa come 60-70 film e in alcuni casi delle parti che sono passate alla storia, disimpegnandosi in ruoli sia comici che drammatici. Abbiamo già accennato in particolare ai film interpretrati con Totò, ma anche con Peppino De Filippo ha scritto pagine importanti del cinema di quegli anni. Ad esempio 'La famiglia Passaguai' nel 1951, una commedia che possiamo dire che abbia definito un certo tipo di schemi che praticamente sono gli stessi che vengono adoperati ancora oggi e di cui oltre che attore protagonista, fu anche regista e sceneggiatore.
F. Probabilmente è film di maggiore successo tra tutti quelli che ho diretto. La sceneggiatura l'avevo scritta assieme a Mario Amendola e Ruggero Maccari. E la storia era quella lì di questo cavaliere, Peppe Valenzi detto Passaguai, che decide di passare una domenica al mare a Fiumicino con la famiglia, ma non gliene va bene manco una. Così alla fine 'la famiglia Passaguai' è diventato una specie di modo di dire quando a uno la fortuna diciamo che non gira dalla sua aprte.
Ci stava Peppino De Filippo, ma altri attori con cui lavorare assieme era un piacere. Innanzitutto ci stava Ave Ninchi che era un'attrice incredibile e una amicizia che mi è durata tutta la vita. Bravissima. E poi ci stavano Luigi Pavese, Enrico Luzi, ancora Tino Scotti e Carlo Delle Piane...
Lei ha diretto in tutto sette film. L'ultimo, 'Il maestro...' (1957), è uno dei suoi film dai contenuti più drammatici.
F. Il film era una produzione italo-spagnola. Lo girammo in Spagna... E sì, era un film sicuramente drammatico. Ma era pure una specie di favola. Ci sta la storia di questo maestro che perde il figlio a causa di un incidente e riesce a ritrovare se stesso solo attraverso la fede, quando appare nella sua vita sto ragazzino di nome Gabriele che lo sprona a andare avanti. Era un film difficile perché argomenti di questo tipo sono delicati e poi ci stava da affrontare anche argomenti religiosi e bisognava stare attenti a non essere troppo retorici. E niente... Era un lavoro difficile, ma alla fine ne uscì un buon film.
4. Dopo gli anni sessanta ha fatto invece prevalentemente teatro. Come mai? Fu una scelta quella di smettere di lavorare con il cinema? Poi le volevo domandare se nel corso degli anni, a partire diciamo già dagli anni sessanta e fino a oggi, c'è stato un attore in cui si è qualche modo identificato?
F. Ma no. Non mi sono rivisto e non mi rivedo in nessun attore. Ma questo mo non vuol dire che non ci sono stati altri attori bravi. Ma i tempi erano cambiati e hanno continuato a cambiare. Però ci sono stati grandi attori come Alberto Sordi, Nino Manfredi con il quale rimettemmo in scena il 'Rugantino'. Ma io già dopo il 1960 non mi ci rivedevo più in un certo tipo di cinema che si andava affermando e allora preferii dedicarmi principalmente al teatro. Poi, oh, qualche film lo ho fatto anche dopo eh. Penso per esempio a 'C'eravamo tanto amati' di Ettore Scola e dove facevo la parte di questo ricco palazzinaro nostalgico fascista. Un ex capomastro, un tipo rude, antipatico e con un caratteraccio, che poi diventa il suocero del personaggio interpretato da Gassman. Fui pure premiato col nastro d'argento come migliore attore non protagonista a Venezia.
5. Sicuramente lei è stato ed è tuttora uno dei maggiori rappresentanti di quella che si definisce la 'romanità' di una volta. Questo penso che sia un grande merito che le è riconosciuto anche da tutti quelli che non riconoscono il suo grande spessore artistico e la considerano semplicemente come un 'comico', adoperando questa espressione in maniera riduttiva. Durante la sua carriera cinematografica, al di là di quelle che sono state le sue rappresentazioni più 'macchiettistiche', lei ha sempre interpretrato ruoli di grande spessore morale: da questo punto di vista è stato ed è secondo me anche un grande esempio di moralità e di umanità e portatore di quelli che si possono considerare senza retorica come i valori di una volta. Che cosa pensa della Roma di oggi?
F. E che cosa ti posso dire. Su questi qui che dicono che sono stato solo un 'comico' non me ne importa proprio niente. A parte che per me essere stato un 'comico' è un complimento. Il resto sono problemi loro.
Per quanto riguarda la città di Roma e la romanità... Penso che la Roma di una volta, quella che conoscevo io, oggi non esiste più. Roma è diventata una brutta città. È semplicemente indecente il modo in cui viene degradata quella che è la più bella città al mondo. Non si capisce più niente. Ci stanno certi posti che non si può più nemmeno girare di giorno. Una volta non era così. Ci stava più umanità. La gente c'aveva un'anima. Ma oggi invece non è più così. Nessuno credo più in niente. La gente non si fida degli altri e ognuno cerca di fregare al prossimo suo. E questo è un peccato.
Che cosa pensa che si possa fare per fare ritornare Roma quella lì di una volta e anche per riportare alla città quella grande fama che la ha sempre giustamente accompagnata?
F. E chi lo sa. Però posso dire una cosa: che Roma ha e avrà sempre una grande fama, perché nonostante questi disgraziati è e resta una città unica al mondo. E questo primato non glielo toglierà mai nessuno.
Speriamo che questa sua convinzione possa in qualche maniera fare risvegliare quella anima di questa città che lei stesso ha richiamato.
Io la ringrazio ancora per averci concesso questa intervista a nome mio e di tutti i nostri ascoltatori, che sicuramente avranno riascoltato con grande piacere la sua voce.
F. Sono io che ti ringrazio. Sei un bravo ragazzo.
La ringrazio molto...
F. Be', che dire, è stata una bella chiacchierata. Ringrazio te e tutti quelli che ci hanno seguito. Buona serata a tutti.
Buonanotte a tutti.
Alla prossima settimana con un nuovo personaggio e una nuova intervista!
'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'