Il salto

Le parla guardandola fissa negli occhi; le sue biglie azzurre devono averle detto qualcosa perché si è subito irrigidita, mettendosi sulla difensiva. Chi parla poco solitamente le soppesa assai bene le rare volte in cui decide di aprir bocca. Tic-Tic, il suono acuto e duro di una picozza che picchietta una massa informe di roccia: il preludio di una frana. Lei decide di usare un tono di voce accomodante e suadente, una carezza invisibile per tentare di oliare, lenire e rendere meno sgradevole una sensazione che ancora non comprende, ma che la rende nervosa e non le piace affatto.

Non ce ne frega, non ve ne deve fregare, di entrare nei pidocchiosi dettagli per sapere se si tratta di una pena d'amore, piccola o grande che sia, un cambio di lavoro per inseguire una recondita passione o la scoperta improvvisa di una malattia. Il protagonista di una questa pisciatina di inchiostro è il Salto infatti. Che sia sbilenco, lungo, corto, sgraziato o vattelapesca è sempre un Salto. Quel fugace gesto di spiccare il volo significa lasciare per sempre qualcosa di conosciuto per atterrare su un nuovo terreno.

Lei l'abbiamo lasciata incuriosita e paurosa, in attesa. Dieci minuti dopo rieccola là; non piange, ma ha un ruga che le solca il bel viso e cerca il contatto per tranquillizzarlo e dargli tutto il supporto di cui è capace. Le cerca con apparente calma, ma non le riesce mica a trovare quelle infide, bastarde e sfuggenti: le parole giuste si devono essere intrufolate come al solito in posto schifoso e irraggiungibile come il cestino dell'umido ed eccole lì attorcigliate su una spina di pesce. È colpa dei monologhi del cinema se in queste circostanze sovrastimiamo il peso delle parole: quando un animale non è in una situazione di equilibrio più che alla logica, si affida all'istinto, all'odore, ai gesti, al suono.

E lei profuma di pane appena sfornato, di sesso. Quel muovere le mani, i seni e le sue labbre mentre parla e parla. Quel modo concitato e allo stesso modo calmo di esprimersi lui lo conosce bene e lo fa star bene. Lei è il terreno e lui, mentre muove i piedi, lo sente quanto sia stabile, solido e indistruttibile.

Ci troviamo infine sulla parte terminale di un trampolino posto sul ponte più alto che la vostra immaginazione è in grado di immaginare. Il mio, per dire, è un metro sopra l'Everest e sotto, sul fondo di un dirupo immenso, c'è quella voglia di mandare tutto a puttane.

Lei che lo tira vero il terreno e lui che non si muove di un millimetro indeciso. Tutti noi, almeno a parole, ci siamo trovati su quel trampolino. E se tu che leggi credi di non far parte della categoria sii felice e beato perché questo vuol dire che sei ancor giovine.

Lui la guarda e...


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