Denaro, comunicazione reale e virtuale

Riporto un paio di frasi da: Realismo capitalista, un libro di Mark Fisher...

“è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”

"il capitalismo è invincibile perché ingloba tutto e trasforma tutto in oggetto da mercanteggiare."

"Un fare soldi per fare soldi, senza radici, perché non sappiamo fare altro."

Sono d'accordo su tutto.

Storicamente si è iniziato a far uso del denaro come strumento di contrattazione, era il mezzo per comprare quello che era utile per noi e la nostra famiglia. Gradualmente, col tempo, il denaro ha mutato lo scopo originario fino a raggiungere la dimensione che ha oggi: è diventato la misura di ogni cosa, il generatore simbolico di tutti i valori, per cui non capiamo più cosa è vero, cosa è giusto, capiamo solo cosa è utile. Giudichiamo tutto rapportandolo al denaro, chi è ricco è invidiato e spesso anche considerato degno di stima. Oggi non scegliamo più il lavoro in ragione delle nostre attitudini e alla gratificazione che ne possiamo trarre, ammesso che lo troviamo, scegliamo quello che è pagato meglio. Da molti anni ormai, cresciamo convinti che le COSE ci rendano felici, di conseguenza attribuiamo agli oggetti, [belle automobili, etc.] la condizione del piacere e della soddisfazione, come se potessero davvero essere l’origine della felicità. È una visione distorta della realtà, il nostro benessere interiore non è dovuto a quello che possediamo e non è direttamente proporzionale al conto in banca. Ci siamo dimenticati, che i soldi sono pezzi di carta che servono a comprare COSE, ci siamo dimenticati, che la felicità è uno stato d'animo che dipende da pochi importanti elementi che niente hanno a che fare con il denaro: godere di buona salute, avere una famiglia e buoni rapporti sociali. La vita reale è costituita da queste tre o quattro componenti.

C'è anche la vita virtuale, Facebook, Twitter, Instagram, DeBaser, per citare i più famosi. I social network consentono di "parlare" con qualcuno all'altro capo del mondo, ma è una relazione incompiuta e lacunosa. Ci siamo evoluti come animali sociali, oltre che della parola, abbiamo bisogno del contatto oculare, della gestualità, di sentire il tono della voce, di fare pause, di silenzi, di abbracci, di sorrisi e anche di lacrime. In breve, fin dalla nascita, del contatto fisico e visivo. Questo è il linguaggio che abbiamo interiorizzato nel corso della nostra evoluzione. In internet si può solo scrivere e per capirsi meglio ci dobbiamo avvalere di emoticons, quei disegnini stilizzati che ormai conosciamo tutti e che cercano di riprodurre le emozioni ed i sentimenti umani. Però, una conoscenza intima, che possa essere comparabile a quello cui accennavo prima, non potrà mai essere raggiunta. Sui social, molti hanno centinaia di "amici" dei quali ne conoscono personalmente una cinquantina, a essere generosi. Sui social si comunica condividendo foto o commentando aforismi e articoli ritenuti interessanti. Questo è positivo, ma lo sarebbe molto più su una panchina di un parco, guardandosi. Sempre più, si vive in un mondo di persone sole, spesso disperatamente sole. Internet non avvicina, allontana. La grande carenza dei social è che manca la vicinanza fisica, ciò che viene postato lo si fa senza un moto interiore che ti spinge a farlo, lo si fa perché non abbiamo niente di meglio di cui occuparci. Pian piano lo stiamo assimilando, sta diventando una pratica quotidiana, molto simile a quella di lavarsi i denti. Ma per socializzare sul serio, vale di più una litigata e una riappacificazione fatta al tavolo di un bar, che qualsiasi cosa pubblicata sui social network.

[Ho preso spunto da un mio commento sulla recensione di Joe Strummer]


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