La signora dalla pelle bianca
Dopo la pioggia la spiaggia era come una cartolina in bianco e nero. Spessi strati di nubi tingevano il paesaggio di tonalità scure. Alcuni raggi di luce s'erano fatti largo tra i nembi andando ad evidenziare la bellezza dell'eterno spumeggiare delle onde e definendo i bordi della Gorgona. Il litorale brulicava di gente. Sulla spiaggia c'erano uomini e donne con le borse in mano e libri sotto braccio. Nel mare, dozzine di bagnanti in ammollo. In un attimo la spiaggia si animò e prese colore. Se aguzzate la vista, riuscite a vedere Isabella che gioca con un cane nero. Poco distante ci sono io. Sto in mezzo all'acqua inginocchiato fino al l'ombelico. Non bado né alle nuvole né allo spumeggiare delle onde, ho le labbra incollate a una bottiglia di sambuca, nascosta in un sacchetto di plastica. Finisco lo schifoso contenuto dolciastro in un fiato. È disgustosa ma non importa, piscio nel mare e lascio bottiglia e busta a galleggiare sulle onde. Poco a poco comincio a non capire più un cazzo...
Per diversi minuti la pioggia riprese intensa e su quella miracolosa cartolina rimasi con Isabella, il cane e una signora che camminava sulla riva. Era una bella signora con la pelle liscia e bianca. Uscìi dall'acqua e raggiunsi Isabella che stava giocando col cane. Mi sedetti vicino, dissi: «Ci vieni con me a Tangeri?» Isabella scosse la testa: «A Tangeri? Perché Tangeri? Comunque non potrei, soffro di cuore.» Confrontai mentalmente i fianchi e le gambe di Isabella con quelli della signora. Continuai: «chi soffre di cuore non può volare con l'aereo?» lei sorrise: «A quelle altezze... che guardi?» «Niente, guardavo se c'era un bar, qualcosa... Se l'altezza non va bene, diciamo al pilota di volare basso...» Conclusi lasciando la frase sospesa. «Ma sei spiritoso!» ribatté contrariata. Isabella mia, Isabella che, chissà perchè, voleva essere la mia. Isabellona mia. Dolce Isabella che tenevi sempre il cuore nel luogo sbagliato. Intravidi di nuovo la signora. Gli occhi corsero alle sue belle gambe, muoveva le anche come non avevo mai visto fare a nessuna.
ERA UNA GIORNATA MAGICA. LA PIOGGIA AVEVA SMESSO DI CADERE, ADESSO C'ERA IL SOLE, LA SPIAGGIA SI ANIMAVA E SI SVUOTAVA, ERA IN BIANCO E NERO, SUBITO DOPO PRENDEVA COLORE. ERA COME I MIEI PENSIERI E I MIEI STATI D'ANIMO E TUTTO QUELLO CHE ATTRAVERSAVA LA MIA VITA, ORA BIANCO, ORA GRIGIO, ORA LUMINOSO, ORA SENZA SPERANZA. La spiaggia era di nuovo popolata di persone e, immersa tra tutta quella gente, Isabella stava carezzando il cane. La signora dalla pelle bianca era tornata sui suoi passi, mi passò vicino e si sedette sul gavone d'un pattino a pochi metri di distanza. Trasse dalla borsa un arancia avvolta in un foglio di stagnola, accavallò le gambe ed iniziò a sbucciare il frutto. Volevo costringermi a non guardarla, ma non era possibile. L'immaginavo in intimo nero: Lentamente le tolsi le calze, il reggiseno, infine, finalmente, la smutandai. Aveva la fica bionda e due bei capezzoloni grandi. Il corpo era morbido e la chiavavo come dio vuole. La carezzavo, la stringevo, gustavo tutti i suoi sapori. Che bello, mi suonavano i campanellini in testa.
La signora mi notò, ripose l'arancia nella stagnola e andò via. La guardai allontanarsi, finché, sculettando meravigliosamente, svanì nel vento caldo che carezzava la costa assolata. Non la vidi più. Fu la mia fantasia per diversi giorni, poi la cambiai. Tutte potevano essere la donna ideale. Isa aveva smesso di giocare col cane, mi veniva incontro sorridente. Ero ancora eccitato e l'erezione era ancora visibile sotto il costume. Dissi a me stesso: «Brutto stronzo, figlio di puttana che non sono altro, non posso andare avanti così.» Prima che Isabella mi raggiungesse, mi gettai di nuovo in acqua. Quando riaffiorai, salutai con la mano ed esclamai: «vieni è calda!» allo stesso tempo pensavo: «che cazzo sto dicendo? Devo trovare due o tre birre.» Uscii dall'acqua prima che lei potesse considerare una scelta. Con gli occhi cercai un bar. Isabella era in piedi, ferma a qualche metro di distanza, mi guardava senza dire niente. Cercai di capire cosa stava pensando ma era impenetrabile. Mi incamminai sul bagnasciuga e Isa mi seguì. Mi vedeva barcollare mentre cercavo di tenere una linea dritta, continuò ad osservarmi anche quando mi accasciai esausto sul bagnasciuga. Non sapeva cosa fare. S'inchinò e mi guardò con affetto. Forse, avrebbe voluto farmi una tenerezza, invece lasciò che vivessi a fondo il malessere e aspettò che tornassi fermo sulle gambe, e fossi passato dal pensare: «Mi sento una merda», ad uno stato diverso. Una condizione che mi permettesse articolare parole con senso. In spiaggia, ogni cosa stava al posto giusto, le signore che leggevano settimanali sotto l'ombrellone, l'ambulante appena passato col frigo portatile a tracolla. In quel quadretto io non ci combinavo niente. Che tristezza, era tutto molto triste.
Isa socchiuse gli occhi. Si figurò che quella situazione fosse un invenzione. Immaginò che eravamo amanti insieme ad altre coppie innamorate. Che stavamo a flirtare in un bar di Marina di Pisa. Si sorseggiava una tazza di tè freddo e si chiacchierava d'amore e di cose futili. Pensò che il discorso cadesse su quando, all'inizio dell'estate, seduti su una panchina di marmo, ci baciavamo. Che tra un bacio e l'altro, le avevo detto: «sei il mio amore e lo sarai per sempre.» Per qualche istante fu presa da un infinita tristezza. Un lacrimone le corse giù per una gota. Tornò a piovere e furono gocce provvidenziali, col viso coperto di pioggia e lucciconi che le tremolavano tra le palpebre, Isa si rasserenò e continuò a guardarmi amabilmente. Era uno sguardo che avvolgeva come un caldo abbraccio. La sfiorai garbatamente e lei si strinse a me. Rimanemmo così a lungo, senza parlare. Mi sentii sollevato ma la tristezza non se ne andava. Uno stato d'animo misto di ansia, paura e sofferenza mi consumava e non mi dava riposo. Il volto era segnato da durezza, nello sguardo non c'era espressione, non mostravo né felicità né sconforto. NON USCIVA NULLA, TUTTO ERA CONTROLLATO. GLI OCCHI, I MIEI OCCHI, NON CONOSCEVANO LACRIME, MAI ERANO RIUSCITI A BAGNARSI.
Avevo un gran bisogno di riposare, volevo dormire stretto a lei. Non dovevo cercare lontano. Era lì. Fragile e incompiuta. Ma era lei il mio agognato amore romantico, la donna che avevo sempre sognato. Poteva essere solo lei. Nel contempo, mi consumavo in una ossessiva ricerca del piacere, mi facevo almeno due seghe al giorno, ma quasi sempre anche un paio in più. Cercavo il piacere senza sapere dove fosse. Lo cercavo nel godimento superficiale e nello sballo. Non conoscevo altro. Nel mio cazzo di vita, aveva un senso, era inevitabile, direi. Con Isabella sarebbe stato diverso. Forse. Però non mi suscitava pensieri erotici, niente da quel punto di vista. E poi, per passarci un pomeriggio insieme e non andare in crisi, dovevo prendermi una sbronza. Era assurdo, lo so, ma che vuoi farci, ero così. Mi ero innamorato di una donna che non desideravo. È possibile anche questo. Era una faccenda puramente spirituale, ma intensa. Mai avevo percepito stati d'animo così belli, come quelli che avvertivo stando vicino a Isabella. Con tutto ciò, le mie fantasie erano per donne che non conoscevo, che mi interessavano solo per avere orgasmi. Questa era la mia vita, teneri sogni romantici e seghe. Non sapevo cosa fosse vivere da "normali", e, per loro, i "normali", ero un cretino. Sicuro. Però, se hai il superalcolico a portata di mano, te ne freghi di critiche e problemi. Il superalcolico ti libera dal vizio della timidezza e ti addormenta. Poi, quando sei di nuovo sveglio, la prossima bottiglia di roba di merda sta già aspettando. Lo so, non era una buona soluzione, era la mia soluzione.
La pioggia cadde più volte prima che facesse buio. Ero ancora disteso a terra e Isa si sdraiò accanto a me. Le gocce tamburellavano tutt'intorno e noi ascoltavamo il ticchettio in silenzio. Erano gocce di tutti i colori e suonavano come una cantilena che scandiva il tempo e tingeva la natura in modo irreale. Ombre e luci si davano il cambio assumendo il colore dei nostri dolori e delle nostre gioie. Abbandonati sulla sabbia, ci lasciavamo inzuppare dalla pioggia colorata. QUELLE GOCCE ERANO LE NOSTRE EMOZIONI. Il vento ce le disegnava addosso in mille gradazioni di colori e toni. Stavamo stretti stretti e molti sentimenti si alternavano: entusiasmo, noia, euforia, tenerezza. La pioggerellina li dipingeva sulla carne con magiche pennellate di rosso, lillà, verde, blu. Isa sembrava un dipinto surreale. Le gocce si erano unite sul suo corpo, formando un complesso intreccio di linee e macchie colorate. Architetture cromatiche così belle che parevano disegnate da mani d'artista. Se la bellezza è data dal l'armonia e dal colore, allora era lei la più bella. Sembrava una splendida maschera di carnevale. Provate ad immaginarla mentre mi sorride coi suoi melanconici occhi gialli, il viso dipinto da fantasie colorate ed i capelli bagnati dalla pioggia multicolore. Era l'incanto dei sensi. Mai avrebbe voluto abbandonare quel travestimento variopinto, invece, poche ore dopo, lavò via i colori e quello che generavano nella mente.
Non sapevo se quello che stavamo vivendo fosse vero o la creazione di una mente, la mia, impazzita per i troppi eccessi. Non sapevo se pioveva o se era bel tempo, se, nelle stille di pioggia, pure una moltitudine di emozioni era piovuta su me. Emozioni su me, dentro me, ne ero avvolto. Che bello. Mi piaceva essere preso da stati d'animo colorati. Mi davano la bella sensazione d'essere fragile. Io, che credevo di non provare niente, meno che mai, emozioni e sentimenti. Quelle cose che hanno a che fare col cuore. Avendo sempre affogato tutto nell'alcool, inevitabilmente quello che più desideravo e che ancora desidero, è proprio ciò di cui l'alcool mi ha privato. Non voglio rivelare se quello che accadeva su quella spiaggia fosse reale, magico o immaginario. Dove sono adesso, non valgono le logiche terrene, qui, non c'è quasi niente, neanche il bene o il male. Qui, non è un bel posto. Può diventarlo soltanto con la fantasia. Ma devi saperti immergere nel mondo degli odori, dei suoni, dei colori, di tutte le emozioni che le persone provano. Invece io, allora, non le percepivo, neanche una. Adesso si, adesso so anche amare, ma qui non ci sono molte possibilità per esprimere forme di sensibilità. L'unico modo è inventare racconti fantasiosi o ricordare quelli infelici, veri. Mi perdo in quelle storie, mi commuovo e piango. Poi rifletto. Su tutto, più che altro sui casi della mia vita, cerco di capire quello che al tempo mi ero precluso e come mai. Cosa sarebbe potuto essere se. Così piango ancora. Ora ho fantasia e sentimenti e ci riesco. Se racconto di una passeggiata sulla spiaggia, la faccio diventare un viaggio carico di esperienze emotive, se penso ad un temporale, lo immagino come l'opera d'arte d'un pittore.
Isa sorrideva, ma c'era un velo di amarezza in quello sguardo. Ed io, avevo una gran voglia di capire cosa c'era dietro quella infelicità nascosta. Ricordo che avrei voluto prenderla in braccio e sorriderle dolcemente, darle un segno, ma non riuscivo a farlo. Adesso, dopo tanto tempo, so che l'aveva capito. Sapeva che il mondo di sogni e fantasie vissute fino ad allora, mi avevano portato a vivere in una sola dimensione, quella di non saper esprimere niente nel mondo reale. Invano cercavo di rimettermi in piedi, proseguendo a pensare che dovevo fissare le labbra ad una bottiglia. Ancora credevo che nulla sarebbe cambiato e avrei continuato come avevo sempre fatto, e anche a far finta che, in fondo, le cose non andavano poi così male.
Passarono le ore, passò la sbornia e la sera eravamo ancora vicini, sdraiati sulla sabbia. Faceva freddo e non riuscivamo a dormire. Quella sera c'era una luna piena che mi incantava, la solita luna bella e luminosa che irradiava la sua luce per proteggerci dal freddo della notte. Ma quei raggi si rivelarono crudeli, perché risvegliarono tutti gli stati d'animo che ci erano piovuti addosso nelle gocce colorate. Rancore, noia, gioia e invidia si erano svegliati nello stesso momento. Volevano avere espressione. Ma non era possibile. Si può dare espressione ad un solo sentimento per volta. Istintivamente chiusi gli occhi. Caddi rapidamente in una disperazione che mi portò a rivivere in pochi istanti, ogni attimo vissuto, ogni emozione provata. Rimasi lì, steso, senza riuscire ad alzarmi. Colpito dai raggi di quella spietata luce, senza armi e coraggio per far fronte a qualsiasi circostanza. Isabella stava seduta tappandosi le orecchie con le mani. Immobile, isolata, tratteneva il fiato e tremava. Anche in lei, si era destato il vissuto segreto. Tutto quel dolore risvegliato, le bruciava dentro le composizioni colorate e le procurava dolorose lacerazioni sul corpo. Le guardava atterrita senza avere il coraggio di toccarle. Fu presa da sudori freddi, vertigini, nausea. Si strinse nelle braccia ed a bassa voce, quasi implorando, disse: «aiutami». Non feci in tempo a rispondere che già era sotto la doccia. Fece scorrere l'acqua e lavò via gli insopportabili motivi multicolore. Le lacerazioni erano scomparse, si rilassò e tornò a sdraiarsi vicino a me. Mi strinse una mano e in poco tempo il sonno la raggiunse. Per un paio di minuti lasciai la presa, corsi al mare, mi gettai tra le onde e anch'io cancellai quei dannati arabeschi.
In breve rientrai nel solito stato di torpore, di nuovo tutto era come prima. Andai a sdraiarmi. Subito cercai la sua mano e guardai la luna e il cielo stellato. Immaginavo che la vita fosse facile, che quella sera tutto era possibile. C'era un gran silenzio, non si udiva nemmeno lo sciacquio delle onde sulla battigia, vedevo il cielo cliché e sentivo la presenza di Isabella, vicino. Potevo dormire. Come il vecchio Santiago, desideravo sognare di stare in spiaggia e giocare coi leoni. Sognai che ero al mare, ma i leoni non c'erano. C'era Isabella che giocava con un cane nero. Io stavo in mezzo all'acqua, reggendo una bottiglia di sambuca. Bevvi il ripugnante contenuto in un fiato, pisciai nell'acqua e lasciai la bottiglia a galleggiare sulle onde. Poco a poco cominciai a non capire più un cazzo. A quello aspiravo. Guardavo Isa giocherellare col cagnolino e mi sentivo innamorato più che mai. Dei leoni neanche l'ombra, però sul bagnasciuga c'era una signora che camminava in disparte. Una bella signora dalla pelle bianca. Un po' alla volta tornai nel mio guscio abituale, nel mio universo delle emozioni travolgenti, superficiali, solitarie.