Grigionero
Che paese sarà mai questo dove non esistono monumenti nè chiese dalle facciate zeppe di serafini e angeli nè tutto ciò che identifichiamo come "bellezze". Le bottigliette blu di "Spirit" ruzzolano sui marciapiedi. Che paese sarà mai in cui ogni città ha vicino il suo Campo di Concentramento e vi convive e usa le sue stazioncine per tornare a casa come se fosse normale vedere i cartelli che indicano Malkinja con la diramazione per Treblinka, o la fermata di bus a Majdanek, o la strada affollata di Belzec.Per dire. Che paese sarà mai.
Quando arrivai a Lublino immaginavo di trovare il rabbino che volava sulla città, invece non c'era niente, una strada pedonale che attraversava il centro storico e poi fuori città Majdanek. Non si poteva non andarci, i morti a volte hanno bisogno di essere ricordati per mantenerne la memoria ma il campo era chiuso e cani lupo aggessivi e zannuti si lanciavano contro la rete. Da lontano vedevo una specie di fungo di cemento e prati ben curati. La terra di questo paese, soprattuto verso Lublino e in altre regioni, ha una altissima percentuale di sabbia, buona a trattenere il sangue. I fiumi di sangue che scorrevano nelle cavità sotterranee delle città e ne inquinavano le acque facevano si che i suoi abitanti ne fossero ammalorati. Che paese potrà mai essere dunque.
Lublino era sulla strada che portava al confine con l'Ucraina e notai sui lati mucchi di cipolle, indumenti frigor e lavatrici vetuste, realizzai che erano gli ultimi acquisti che avrebbero fatto gli Ucraini di ritorno in patria.
"Anche le cipolle?"chiesi,mi disse che non c'era nulla al di là della frontiera. Nemmeno le cipolle, pensai che era strano visto la fama della fertilità della terra che si intravvedeva nero bluastra proprio quella che i tedeschi caricavano sui vagoni per la Germania. Anche la terra prendevano. E adesso nemmeno le cipolle vi crescono. Sono andati via in tanti , disse, non c'è più un contadino sono andati di là.
Vidi una stazioncina vezzosa, Belzec. Dalla parte opposta ettari di terreno, una scala con gradini, senza fine, su ogni gradino vi erano scritti i nomi dei paesi, delle frazioni che avevano nutrito il fuoco di Belzec. Come legna. Blocchi di avanzi di fonderia segnavano la strada fra due muri che conduceva al muro in cui tutto sarebbe finito.
Le auto continuavano la loro avanzata verso i doganieri ucraini. Chi tornava aveva il doppio serbatoio pieno di diesel, bauli pieni di tende, cappotti e liquori. Costavano di meno di là.
La sera prima, nella piazza della cittadina avevo visto le donne ucraine che vendevano sigarette, bocche con denti incapsulati sotto il regime le più anziane,vestite con minigonne e stivaletti dai tacchi consunti le più giovani. Sotto la pioggia si avvicinavano cautamente con la loro mercanzia, rispettose della vecchia Mercedes. Avrebbero comprato quaderni e materiale scolastico nei negozietti intorno, maglioni di puro acrilico, jeans. Scarpe che alle prime pioggie si sarebbero scollate.Erano le vittime del crollo. Quelle senza nome, buone solo per creare statistiche. Ed erano fra le fortunate, nei villaggi fangosi dell'interno nemmeno quel piccolo mercato si poteva fare. Un anno o due più tardi quando il paese entrò in Europa e furono introdotte le frontiere con l'Ucraina, in tv vidi molte di loro piangere disperate,non si poteva più fare quel piccolo mercato che per molte era una forma di sopravvivenza. Anche quello era finito.
Restava niente.
Avevano già rubato tutto quel che c'era da rubare, i piccoli trafficanti avevano battuto le campagne per acquistare le icone di casa per poi rivenderle al di là, vuotato chiese alla ricerca di qualcosa che sapevano avere un prezzo alto per gli europei.Mancava solo che rubassero la terra come i tedeschi, ma ce n'era così tanta e non aveva mercato.
Questo è un paese così , con una storia inventata, con la madonna protettrice degli eserciti e castelli in costruzione.
Mentre tornavo a casa mi fermai a dormire a Czestochowa, sembrava notte ma erano solo le 4 del pomeriggio, stava per nevicare e decisi di andare a vedere il santuario della Madonna Nera che era a pochi passi. Un padre spingeva un altalena con un bambino, nel buio. Il castello, nelle cui viscere c'era la famosa Madonna, era di legno e non grande ,dai pulmini sul piazzale scendevano grosse donne felici in gita parrocchiale. Salii le scale e guardai il tesoro della Madonna, i soliti anelli, arti in miniatura dorati, quadri e gioielli di poco conto mi sembrò. Un grosso e rubizzo prete con tonaca nera sorvegliava , sia mai che a qualcuno venisse in mente di rubare un'ernia dorata.
Generalmente i preti in questo paese hanno un aspetto poco rassicurante, ti guardano e sembrano cercare nel tuo cervello qualsiasi deviazione dalla retta via. Ovvero la loro. La cappella della Madonna era piccola e la statuetta era nera per le candele che per centinaia d'anni avevano bruciato difronte a lei. Pensai che come protettrice dell'esercito si era dimostrata non efficente. Nelle panche erano incisi i nomi delle brigate polacche perdute. C'era anche la Carpatia che aveva combattuto a Montecassino. neanche loro aveva protetto poveri ragazzi.
Mi ero imbattuta nel loro rigido clericalismo in un modo inusuale : in un condominio vidi che sullo stipite delle porte erano disegnate con il gesso delle croci o qualcosa di simile, chiesi cosa significasse, mi fu risposto che lì abitavano buoni cristiani e che il prete era passato. Pensai alle porte segnate nell'antico Egitto e all'Angelo Sterminatore che faceva il suo dovere, a teste che ruzzolavano, ai fiumi di sangue ai campanelli di casa in Bosnia dove di notte segnavano chi dovesse essere preso .Ucciso. I segni sulle porte indicano sempre qualcosa di brutto.
Che paese era mai quello, pensavo il giorno dopo mentre guidavo per le autostrade vuote. Il paesaggio era innevato, e capii perchè a volte disegnavano la neve azzurra.
Veramente, aveva sfumature azzurre.