Il Granchio

Ieri sono andato al bar...
... Che incipit del cazzo!

Ma del resto quale incipit non lo è? Avrei dovuto cercare qualcosa di gustoso (o che credo lo sia) per provare ad incuriosire fin da subito chi sta leggendo 'sta cosa; non che non l'abbia mai fatto, anzi, solo che oggi voglio restare il più possibile fedele all'impessione che mi sta spingendo a buttare giù queste righe... E poi, in fondo, a che serve un incipit gustoso? Vanità, vanità, tutto è vanità. Vanità di chi scrive titillandosi l'ego e vanità di chi legge soppesando il godimento estetico ai margini del suo sorrisetto complice.

Dunque sarò brutale: ieri sono andato al bar.

Non vi starò neanche a dire l'ora in cui ci sono andato. Mattina, pomeriggio, sera? Che stronzate senza importanza.

Mi sono seduto, ho preso un paio di bicchieri di vino (bianco o rosso?), qualcuno ha parlato con me, io rispondevo (almeno mi pare di ricordare) e c'erano i Clash in sottofondo.

Solo che dopo un po' è accaduto qualcosa, qualcosa di non particolarmente nuovo per me, ma ieri ha avuto iuna risonanza, come dire... Avvolgente.

Tra lo sferruzzare continuo dei bla-bla-bla, tra i respiri ansimanti causati dal caldo combinato con le mascherine, tra le dissonanze di vetri e porte che si aprivano e chiudevano... Il tempo si è fermato.

No, non il tempo. Io. La mia testa.

Non era quella leggera ebbrezza che fa sembrare tutto lontano e ovattato, non era lo sfinimento del corpo che rende indifferenti gli esseri e le cose che ci stanno intorno.

Sentivo i miei pensieri totalmente inconsistenti, astratti... No, neanche. Sentivo piuttosto un vapore tiepido e denso che aveva preso il posto dei miei pensieri.

Sentivo, no... Avevo la percezione di me stesso lì, in quel momento, bilanciavo ogni grammo del mio peso e ogni respiro che emettevo aveva un non so che di nitido, di materico.

Anche gli oggetti e le persone mi parevano semplicemente lì, lì e basta. Non immaginavo storie sul loro conto, non sentivo il bisogno di relazionarmi con loro. Sapevo che erano lì, come me erano lì, come me semplicemente esistevano.

Naturalmente questa sensazione sarà durata solo per pochi secondi e, nel momento in cui ci ho pensato, è sparita d'un tratto.

A posteriori ho pensato a Sartre e alla sua nausea, ma, in lui, l'esistenza delle cose e delle persone in quanto tali era percepita come "di troppo" o "gratuita" ed era proprio questo a dargli il voltastomaco. Io invece l'ho sentita un'esperienza riposante, quasi gratificante e poi Sartre... Vedete anche questa citazione di Sartre è vanità, o meglio, è vanità e insicurezza insieme: cerco di puntellare e giustificare quello che sto dicendo con ciò che ha scritto un filosofo di riconosciuta fama.

A volte invidio la mia gatta: la sua capacità di essere presente nel presente, il suo sembrarmi immune da inutili crogiolamenti su ciò che sia meglio fare. Eppure... Non è anche lei un essere troppo complesso? Non è certamente immune da vanità visto quanto tempo dedica alla cura del suo corpo e la curiosità che la spinge in esplorazioni sempre nuove nasconde forse un'ombra di atavica inquietudine.

No, ieri io ero come un granchio. Un granchio che asciuga la sua corazza al sole, con le zampette ben salde sulla roccia. Un granchio che non sente altro che il rumore sordo della sua esistenza. Un granchio che semplicemente è.

Devo solo ricordarmi, se mi capiterà ancora quell'impressione, di non troncare involontariamente con le mie chele i secondi che ancora mi separeranno dalla mia esistenza di uomo.


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