Emozioni nella pioggia colorata

[Faccio un breve riassunto della prima parte, perché è legato al finale]

La spiaggia era come una cartolina in bianco e nero. Io sto in mezzo all'acqua, ho le labbra incollate a una bottiglia di sambuca, piscio nel mare e lascio bottiglia e busta a galleggiare sulle onde. Poco a poco comincio a non capire più un cazzo... Per diversi minuti la pioggia riprese intensa, rimasi con Isabella, un cane e una signora che camminava sulla riva. Isabella giocava col cane, gli occhi corsero alle gambe della signora. Aveva la pelle liscia e bianca, muoveva le anche come non avevo mai visto fare a nessuna.

Era una giornata magica. La pioggia aveva smesso di cadere, adesso c'era il sole, la spiaggia si animava e si svuotava, era in bianco e nero, subito dopo prendeva colore. Era come i miei pensieri e i miei stati d'animo e tutto quello che attraversava la mia vita, ora bianco, ora grigio, ora luminoso, ora senza speranza. La signora dalla pelle bianca si era seduta sul gavone d'un pattino a pochi metri di distanza e accavallò le gambe. L'immaginavo in intimo nero: Lentamente le tolsi le calze, il reggiseno, infine, finalmente, la smutandai. La signora mi notò, ripose il frutto nella stagnola e andò via.

Isa socchiuse gli occhi. Si figurò che quella situazione fosse un invenzione. Immaginò che eravamo amanti insieme ad altre coppie innamorate. Che stavamo a flirtare in un bar di Marina di Pisa. Si sorseggiava una tazza di tè freddo e si chiacchierava d'amore e di cose futili. Pensò che il discorso cadesse su quando, all'inizio dell'estate, seduti su una panchina di marmo, ci baciavamo. Che tra un bacio e l'altro, le avevo detto: «sei il mio amore e lo sarai per sempre.» Per qualche istante fu presa da un infinita tristezza. Un lacrimone le corse giù per una gota. Tornò a piovere e furono gocce provvidenziali, col viso coperto di pioggia e lucciconi che le tremolavano tra le palpebre, Isa si rasserenò e continuò a guardarmi amabilmente. Era uno sguardo che avvolgeva come un caldo abbraccio. La sfiorai garbatamente e lei si strinse a me. Rimanemmo così a lungo. Senza parlare. Mi sentii sollevato ma la tristezza non se ne andava. Uno stato d'animo misto di ansia, paura e sofferenza mi consumava e non mi dava riposo. Il volto era segnato da durezza, nello sguardo non c'era espressione, non mostravo né felicità né sconforto. Non usciva nulla, tutto era controllato. Gli occhi, i miei occhi, non conoscevano lacrime, mai erano riusciti a bagnarsi.

Avevo un gran bisogno di riposare, volevo dormire stretto a lei. Non dovevo cercare lontano. Era lì. Fragile e imperfetta. Era lei il mio amore romantico. Dolce e incompiuta. E non cercavo nemmeno di inventarmi che eravamo fatti l'uno per l'altro. Con lei stavo bene e mi bastava. E quando non c'era, la cercavo. Era il mio riparo e, riflettendo, mi sono convinto, che amore sia trovare un rifugio e riuscire darlo. Intanto, aspettando che lo capisse anche lei, mi consumavo in una ossessiva ricerca del piacere, mi facevo almeno due seghe al giorno, ma quasi sempre anche un paio in più. Cercavo il piacere senza sapere cosa fosse. Lo cercavo nel godimento superficiale e nello sballo. Non conoscevo altro. Nel mio cazzo di vita, aveva un senso, era inevitabile, direi. Con Isabella sarebbe stato diverso. Forse. Però non mi suscitava pensieri erotici, niente da quel punto di vista. E poi, per passarci un pomeriggio insieme e non andare in crisi, dovevo prendermi una sbronza. Era assurdo, lo so, ma che vuoi farci, ero così. Mi ero innamorato di una donna che non desideravo. È possibile anche questo. Mai avevo percepito stati d'animo belli come quelli che avvertivo vicino a Isabella. Con tutto ciò, le mie fantasie erano per donne che non conoscevo, che mi interessavano solo per avere orgasmi. Questa era la mia vita, teneri sogni romantici e seghe. Non sapevo cosa fosse vivere da "normali", e, per loro, i "normali", ero un cretino. Sicuro. Però, se hai il superalcolico a portata di mano, te ne freghi di critiche e problemi. Il superalcolico ti libera dal vizio della timidezza e ti addormenta. Poi, quando sei di nuovo sveglio, la prossima bottiglia di roba di merda sta già aspettando. Lo so, non era una buona soluzione, era la mia soluzione.

La pioggia cadde più volte prima che facesse buio. Ero ancora disteso a terra e Isa si sdraiò accanto a me. Tutt'intorno picchettavano gocce d'ogni colore. Cadevano sulla sabbia, sull'acqua, su pacchetti di sigarette gettati via, su flaconi di crema solare dimenticati, sulla carcassa di un uccello morto, su bottiglie e buste di plastica. Acqua colori e luci, creavano sulla costa sporca e inquinata, la stessa poesia della pioggia che bagnava rami e foglie, nel pineto descritto dal poeta. Pareva d'ascoltare: One of These Days. Col viso rivolto al cielo, in silenzio, ascoltavamo quelle gocce che tingevano la natura in modo irreale. Chiarori e ombre si davano il cambio assumendo il colore dei nostri dolori e delle nostre gioie. Era bello stare abbandonati sulla sabbia e lasciarsi inzuppare dalla pioggia colorata, quelle gocce erano le nostre emozioni. Il vento ce le disegnava addosso in mille gradazioni di colori e toni. Stavamo stretti stretti e molti sentimenti si alternavano: entusiasmo, noia, euforia, tenerezza. La pioggerellina li dipingeva sulla carne con magiche pennellate di rosso, lillà, verde, blu. Isa sembrava un dipinto surreale. Le gocciole si erano unite sul volto e sul corpo, formando un complesso intreccio di linee colorate e macchie. Bizzarrie cromatiche che parevano disegnate da mani d'artista. Se la bellezza è data dal l'armonia e dal colore, allora era lei la più bella. Sembrava una splendida maschera di carnevale. Provate ad immaginarla mentre mi sorride coi suoi melanconici occhi gialli, il viso dipinto da fantasie colorate ed i capelli bagnati dalla pioggia multicolore. Era l'incanto dei sensi. Mai avrebbe voluto abbandonare quel travestimento variopinto, invece, poche ore dopo, lavò via i colori e quello che generavano nella mente.

Non sapevo se quello che stavamo vivendo fosse vero o la creazione di una mente, la mia, impazzita per i troppi eccessi. Non sapevo se pioveva o se era bel tempo, se, nelle stille di pioggia, pure una moltitudine di emozioni era piovuta su me. Emozioni su me, dentro me, ne ero avvolto. Che bello. Mi piaceva essere preso da stati d'animo colorati. Mi davano la bella sensazione d'essere fragile anch'io. Io, che credevo di non provare niente, meno che mai turbamenti dell'anima. Se affoghi tutto nell'alcool, inevitabilmente, quello che più desideri è proprio ciò di cui l'alcool ti priva. Non voglio rivelare se quello che accadeva su quella spiaggia fosse reale, magico o immaginario. Dove sono adesso, non valgono le logiche terrene, qui, non c'è quasi niente, non c'è il bene, non c'è il male e il tempo scorre senza doverlo calcolare. Qui, non è un bel posto. Può diventarlo soltanto se usi la fantasia. Allora puoi anche commuoverti. Ma devi calarti nel mondo degli odori, dei suoni, dei colori, di tutte le sensazioni che le persone provano. Invece io, allora, non percepivo niente. Adesso si, ora so anche amare, ma dove sono, non ho la possibilità di esprimere stati d'animo. L'unico modo è sentirli dentro. Io ci riesco inventando racconti fantasiosi o ricordando quelli infelici, veri. Mi perdo in quelle storie e piango. Poi rifletto. Su tutto, più che altro sui casi della mia vita, cerco di capire quello che al tempo mi ero precluso e come mai. Cosa sarebbe potuto essere se. E piango ancora. Ora ho fantasia e sentimenti, ci riesco. Se racconto di una passeggiata sulla spiaggia, la faccio diventare un viaggio carico di esperienze emotive, se penso ad un temporale, lo immagino come l'opera d'arte d'un pittore.

Isa era tutta bagnata e sorrideva, ma c'era un velo di amarezza in quello sguardo. Ed io, avevo una gran voglia di capire cosa c'era dietro quella infelicità nascosta. Ricordo che avrei voluto prenderla in braccio e sorriderle dolcemente, darle un segno, ma non riuscivo a farlo. Adesso, dopo tanto tempo, so che l'aveva capito. Sapeva che il mondo di sogni e fantasie vissute fino ad allora, mi avevano portato a vivere in una sola dimensione, quella di non saper esprimere niente nel mondo reale. Continuava a piovere e cercavo goffamente di rimettermi in piedi. Proseguivo a pensare che dovevo fissare le labbra ad una bottiglia. Ero convinto che avrei camminato per sempre sulla strada del l'infelicità, che mai sarei riuscito a crearmi una vita dove le vicende scorrono in modo naturale, che avrei continuato a far finta che, in fondo, le cose non andavano poi così male. Ma ero nella merda e lo sapevo benissimo. Eppure, bastano sincerità e coraggio, per lasciarsi guardare dagli altri senza temerne lo sguardo. Ma come potevo, allora? Sincerità e coraggio, certo, ma quanto è difficile tirarli fuori se non l'hai mai fatto. E non sarebbe bastato farli miei per un'ora o per vent'anni, dovevano alloggiare in me, tutta la vita. Non si può vivere stando nella bugia.

Passarono le ore, passò la sbornia e la sera eravamo ancora vicini, sdraiati sulla sabbia. Faceva freddo e non riuscivamo a dormire. Quella sera c'era una luna piena che mi incantava. La solita luna bella e luminosa che irradiava la sua luce per proteggerci dal freddo della notte. Ma quei raggi si rivelarono crudeli, perché risvegliarono tutti gli stati d'animo che ci erano piovuti addosso nelle gocce colorate. Rancore, noia, gioia e invidia si erano svegliati nello stesso momento. Volevano avere espressione. Ma non era possibile. Si può dare espressione ad un solo sentimento per volta. Istintivamente chiusi gli occhi. Caddi in una disperazione che mi portò a rivivere in pochi istanti, immagini, odori, attimi vissuti ed emozioni provate nel passato. I raggi di quella spietata luce mi avevano portato via anche il resto della mia poca forza. Stavo steso a terra, privo di armi e coraggio per far fronte a qualsiasi circostanza. Isabella era seduta tenendo le mani sulle orecchie. Immobile, isolata, tratteneva il fiato e tremava. Anche in lei si era destato il vissuto segreto. Tutto quel dolore risvegliato, le bruciava dentro le composizioni colorate e le procurava dolorose lacerazioni sul corpo. Le guardava atterrita senza avere il coraggio di toccarle. Fu presa da sudori freddi, vertigini, nausea. Si strinse nelle braccia ed a bassa voce, quasi implorando, disse: «aiutami». Non feci in tempo a rispondere che già era sotto la doccia. Fece scorrere l'acqua e lavò via gli insopportabili motivi multicolore. Le lacerazioni erano scomparse, si rilassò e tornò a sdraiarsi vicino a me. Mi strinse una mano e in poco tempo il sonno la raggiunse. Per un paio di minuti lasciai la presa, corsi al mare, mi gettai tra le onde, mi feci un bagno e cancellai quei dannati arabeschi.

In breve rientrai nel solito stato di torpore, di nuovo tutto era come prima. Andai a sdraiarmi. Subito cercai la sua mano e guardai la luna e il cielo stellato. Immaginavo che la vita fosse facile, che quella sera tutto era possibile. C'era un gran silenzio, non si udiva nemmeno lo sciacquio delle onde sulla battigia, vedevo il cielo cliché e sentivo la presenza di Isabella, vicino. Potevo dormire. Come il vecchio Santiago, desideravo sognare di stare in spiaggia e giocare coi leoni. Sognai che ero al mare, ma i leoni non c'erano. C'era Isabella che giocava con un cane nero. Io stavo in mezzo all'acqua, reggendo una bottiglia di sambuca. Bevvi il ripugnante contenuto in un fiato, pisciai nell'acqua e lasciai la bottiglia a galleggiare sulle onde. Poco a poco cominciai a non capire più un cazzo. A quello aspiravo. Guardavo Isa giocherellare col cagnolino e mi sentivo innamorato più che mai. Dei leoni neanche l'ombra, però sul bagnasciuga c'era una signora che camminava in disparte. Una bella signora dalla pelle bianca. Un po' alla volta tornai nel mio guscio abituale, nel mio universo delle emozioni travolgenti, superficiali, solitarie.


Carico i commenti... con calma