Elogio dei giornali (e delle edicole)

Tutte le cose possono ammantarsi di meraviglia se le guardi con gli occhi di un bambino, anche le edicole dei giornali.

Mio padre, all’edicola, mi ci portava tutte le domeniche mattina.

La sua manona stretta alla mia, per me era pure meglio del negozio di giocattoli. Noi facevamo le “cose da grandi”: lui si comprava il suo pacco di giornali ed io il mio giornalino, poi andavamo dal barbiere a leggerli e, qualche volta, ci scappava pure un passaggio dal bar. Lui era così: i giornali se li comprava tutti i giorni, almeno un paio, e la domenica tre o quattro riviste di approfondimento politico (qualche anno dopo sulle copertine di quelle stesse riviste – Espresso, Europeo, Panorama…- avrei anche scoperto il fremito dei primi nudi femminili, ma questa è altra storia).

La mamma si arrabbiava, i soldi erano pochi e lei non capiva perché dovessimo sprecarli così. Ma noi non ci avremmo mai rinunciato, per nulla al Mondo!

Lui era fatto così: era convinto che fosse questo il suo modo di stare al Mondo e di cercare di capirlo e di cambiarlo, avrebbe rinunciato persino a fumare per comprarsi i giornali (e, per lui, era davvero un gran sacrificio!) e, poi, si divertiva a portarmici ed io l’aspettavo per tutta la settimana quel momento in cui avremmo fatto le “cose da grandi”.

Scampoli di felicità che, come brace sotto la cenere, ti riscaldano per tutta una vita.

Sarà per questo che mi piacciono così tanto le edicole di giornali, ancora oggi, ancora adesso che sono ridotte a piccoli bazar. Sarà per questo che mi fanno orrore quelli che cianciano di “bruciarli tutti, i giornali” e che si vantano di non leggerli. Ecco, quelli che vogliono “bruciarli tutti, i giornali”, per me, sono della stessa pasta di quelli che bruciavano i libri: hanno lo stesso incedere beota, lo stesso argomentare caciarone e suino, lo stesso pecoronaggio vittimista ed arrabbiato che dà del pecorone agli altri (e niente appecorona meglio del sentirsi “perseguitati” e vittime), lo stesso furore fideistico di quelli là.

E lo so benissimo che ci sono libri e giornali di merda, non sono così ingenuo da non sapere quanto schifo giri intorno al mondo dell’editoria come intorno a quello dell’informazione e della carta stampata. Lo so che quello dell’Informazione è un mercato e, dove vigono le regole del mercato, spira sempre un’irrespirabile puzza di merda.

Ma i libri (e i giornali) non si bruciano! E non solo i libri di Čechov o di Kafka, non si debbono bruciare nemmeno quelli di Moccia o di Vespa. Così, allo stesso modo e per lo stesso motivo difendo pure roba come “Libero” o “Donna moderna”.

Certo ci sono i canali di informazione “alternativi”, fonti oscurate, testi “maledetti”, tutta roba che, a saperla cercare la trovi sul web.

Ma, vedi, io in un posto dove circola da chi di giura che, suo cugino, è guarito anche dalla carie cogli estratti di papaya a chi ti spiega la fisica quantistica con i pupazzetti di pongo – ecco – io, in un posto così, non mi ci raccapezzo.

E, poi, c’è che le notizie, sulla rete, te le danno gratis ed io non mi fido di chi ti regala certe cose; in qualche modo e per qualche motivo c’è sempre chi ci deve guadagnare. E, allora, preferisco darli al “mio” edicolante i miei soldini, illudendomi di sapere quanto e come (e forse a chi) li pago.

Se non altro sui giornali, chi scrive ci mette la firma col suo nome e la sua faccia e, generalmente, con quel nome e con quella faccia ne risponde di quello che scrive, e quindi almeno dovrebbe provare a basarlo su una qualche pezza d’appoggio, quello che scrive. E’ un po’ diverso dai social dove, metti che un tizio qualunque, su di un sito qualunque, protetto da un nickname qualunque, si faccia venire la voglia, per chissà quali motivi suoi, di scrivere una enorme porcata tipo: “i veri colpevoli delle alluvioni in Emilia Romagna sono i geoingegneri climatici che hanno voluto, in questo modo, colpire alcune popolazioni “disobbedienti””.

Così, senza neanche doversi preoccupare di fondare le sue affermazioni su di una fonte più o meno attendibile.

Ora, che rischia uno così? Al massimo qualche insulto o che un povero moderatore lo metta fuori dal sito (tanto torna con un altro nick e ricomincia come prima). Intanto la notizia gira e qualche pollo ci casca. Fallo centinaia di volte e nei modi giusti e vedi che si crea un gran bel polverone, e nel polverone qualcuno sempre ci sguazza. L’illazione si alimenta da sé, non ha bisogno di essere dimostrata, ad un certo punto la stessa insinuazione si trasforma nella fonte di sé stessa.

E’ molto più facile fare così che cercare di controllare tutto un mondo, quello dell’informazione scritta, nel quale – al netto di servi più o meno arricchiti, leccaculo a volte persino felici di poter leccare e poveracci precari e malpagati costretti a scrivere un tanto al chilo – ci finisci sempre per trovare un fesso che ci crede, un testone con la schiena dritta e pure un certo numero di tizi che le cose di cui scrivono le conoscono davvero; e a quelli così o si prova a pagarli, o si cerca di smerdarli o, se non ci si riesce, finisce che si è costretti a sparargli una pallottola in testa. Si trattasse pure di un ragazzotto ingenuo e sconosciuto come quel Siani, lì.

Non è che devi essere una Capacchione o un Berizzi (andatevi a cercare chi è e qual è la sua storia), ma neppure un Purgatori o una Mannocchi (che almeno in certi posti c’è stata veramente); ti basta essere un Santoro, un Mentana o pur anche un Gomez per sapere che il tuo nome – in questo lavoro – è tutto quello che hai. Persino un Vespa o un Sallusti lo sanno che non si può scendere sotto un certo livello, persino loro hanno ben chiaro in testa il limite oltre il quale sarebbe suicida scendere (per dire: un Sallusti una merdata come quella delle popolazioni punite con le alluvioni, col cazzo che la firma! Al massimo, se proprio deve, la fa scrivere a qualche poveraccio precario o free lance, salvo poi prendere le distanze se la cosa comincia a puzzare).

Giornali e giornalisti vivono (quelli che ci campano veramente) della loro credibilità (comunque la si sia ottenuta), blogger e siti web campano sui like, capisci che c’è una certa differenza…

Di giornali e di giornalisti non sempre mi fido ma, la maggior parte delle volte, li prendo sul serio. Perché è un mondo di merda dove si menano senza ritegno mazzate e colpi bassi e, per restare in piedi, ci devi avere le palle. E prendo sul serio soprattutto quelli che non mi piacciono, che mi stanno sugli zebedei, che non la pensano come me (la stragrande maggioranza, in effetti): è con loro che so che mi devo misurare.

Ancora mi ricordo l’incazzatura quando leggevo certe cose della Fallaci; ma lei, le cose che scriveva le conosceva, il mondo lo aveva girato più di me, in certi posti ci era entrata davvero e certa gente l’aveva guardata negli occhi e, poi, scriveva da dio! E, allora, era dura fare la fatica di continuare a pensarla diverso, bisognava faticare per rimanere delle proprie opinioni, per provare a smontare quei ragionamenti (ben consapevole che in uno scontro faccia a faccia mi avrebbe distrutto). Così ho imparato il dubbio, l’antidogmatismo e la fatica dell’argomentare.

E c’è ancora un’altra cosetta che si chiama concorrenza: perché quello dell’informazione – c’è bisogno di ripeterlo? - è un mercato e, sul mercato, ci stai stretto a fare a spallate cogli altri che conosci bene. Per cui, se c’è una notizia che proprio non vorresti dare, ma gli altri l’hanno già pubblicata, allora sei costretto a darla per forza pure tu. E, allora, la sminuisci, la deridi, la smonti o la sputtani, ma è proprio il modo in cui la sminuisci, la deridi, la smonti o la sputtani che – ai miei occhi – dice un sacco di cose in più su quella notizia.

E, insomma, ecco perché tutti i giorni sono qui, dal “mio” edicolante e la domenica ci porto pure i bimbi. Io sono fatto così: mi sono convinto che questo è il mio modo di stare al Mondo e di cercare di capirlo e (ormai non più) di cambiarlo, e rinuncerei persino a fumare (se fumassi) per comprarmi i giornali.

O, magari, sono solo un tizio fuori tempo massimo che cerca, in qualche modo, di raccapezzarsi, di aggrapparsi a qualche certezza, una qualunque. Il futuro ormai non mi appartiene più ed il presente, al massimo, mi sopporta. Semplice spettatore non pagante (…aspè! Pagante! Pagante eccome!)

Così me ne vado, bel bello, coi miei giornali e mi siedo al bar; gioco a mettere insieme i pezzi del puzzle, mi sforzo di farli combaciare; certo potrei fare il sudoku, ma il sudoku non mi diverte! Apro la prima pagina e subito m’incazzo: “CAZZ..! Ma come cazzarola si fa a scrivere una roba così!”; il caffè mi va di traverso, una signora mi guarda…

Va bene, ma io lo so chi è che ha scritto quella cosa lì, qual è il giornale su cui l’ha scritta quella cosa lì (l’ho comprato apposta!) , lo capisco perché l’ha scritta quella cosa lì. O, almeno, mi illudo di capirlo. Io ci vivo di illusioni: magari mi illudo pure quando mia moglie mi dice che mi ama, quando mio figlio mi giura che non l’ha fatta lui quella marachella, quando una collega mi ringrazia per come ho svolto quel dato lavoro. Magari così vivo meglio, chi può dirlo? Non so ma ho sempre l’impressione che certi mestatori siano persone umanamente un po’ tristi, ma è solo una mia impressione.

E, allora, finisco di leggermi i miei giornali, lasciando per ultime le pagine sportive, finisco di bermi il mio caffè (o quel che ne resta), mi accerto di non essermi sporcato la camicia e me ne vado. Non prima di aver lanciato un cenno di saluto alla signora che si era preoccupata ed al barista e, di certo, non dimenticandomi di passare di nuovo dal “mio” edicolante.

-“Ci vediamo domani!”

Perché domani ci torno di nuovo. Ci torno; ci torno tutte le volte che posso. Ed ogni volta, ogni volta, ogni volta, ogni volta…

C’è quella manona nodosa che stringe la mia manina di bimbo

-“Papà, mi compri il “corriere dei Piccoli?””

-“Ma certo!”


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