Ovetti

-Papà! Papà!

Le manine protese, la vocina implorante (ed insopportabilmente stridula).

Sudo. Sudo e bestemmio.

-Aspetta. Ancora un momento. Forse ci sono, forse….

MALEDETTI!

Hai mai provato a montare quei giochini di merda che escono da quegli schifosissimi ovetti?

-Papà! Papà!

Ma come cazzo li fanno?

Pezzettini piccolissimi, assemblati da minuscole manine di bimbi indocinesi, incastri farlocchi e fraudolenti, istruzioni illeggibili e beffarde, meccanismi assurdi. Colori immondi.

E questo? Che cazzo di %divinità a piacere fusa con animale ributtante% dovrebbe essere?

-Papà! Papà!

MALEDETTI!

Perché lo fanno apposta. Mica crederai che è tutto un caso. C’è un piano, un piano ben preciso. Più quella vocina pigolante mi trapana il cranio (e rompe pure il cazzo, diciamoci la verità), più mi figuro i soldi che spenderò in psicologi e terapeuti. Perché lo sai che se fallisci un’altra volta la pagherai (e la pagherai cara) in futuro. Non sarai più quello di prima. Mai più quello che ha ritrovato il pupazzetto di Sam il pompiere perduto sotto la credenza, né quello che conosce i nomi di tutti gli animali (pure inventandoseli).

No: “Dottore, mio padre era un incapace ed un millantatore”. Ecco cosa mi aspetta.

C’è dietro la lobby degli psicologi?

O quella delle agenzie di viaggio? (Papà, vado in India a cercare me stesso. Tu sei una merda. Ho bisogno di figure di riferimento forti)

O i cartelli della droga?

O la Chiesa?

Le lobby del tabacco? Dei liquori? Del porno? L’Isis? I sette savi di Sion? Le sette sorelle?

-Papà! Papà!

Come ho fatto a cascarci di nuovo! Non lo ha voluto, chiaramente, per quel cioccolato di merda unito a quello schifoso strato di robaccia bianca che neanche loro hanno il coraggio di chiamare cioccolato bianco, questo fottutissimo ovetto! No, lui voleva la stronzissima sorpresina, che ci avrà pure tre anni ma, a ‘sto punto, mi pare già avviato verso un futuro da coglione.

Ma sarà proprio figlio mio? Si, cazzo: è proprio tale e quale al suo babbo….

MALEDETTI!

Papà! Papà!

E faccio l’errore di incontrare il suo sguardo.

Lo riconosco quello sguardo: è lo stesso di sua madre quando ci portammo a casa il tavolino “notreciakkof”.

Svedese? No! E’ l’acronimo di “NOn Ti REsta Che Imparare A Cantare Come Farinelli”.

Bastardi!

E tu continui a dire che non c’è dietro un piano? Un sottile, raffinato, diabolico piano.

Un tempo si andava in camporella (tutti abbiamo uno zio ex fico che ci racconta le cose di “un tempo”) e, dopo aver limonato duro come se non ci fosse un domani, capitava – alle volte – che la vecchia 127, o altro macinino a scelta, vuoi per gli acciacchi dell’età, vuoi perché era un ammasso di ferraglia, facesse le bizze e sbuffasse in preda ad un attacco di catarro.

Allora, un tempo, si apriva il cofano, si dava una pulitina alle candele, si stringeva qualche vite, si soffiava sul carburatore e il vecchio macinino ripartiva.

E lei ti guardava come l’eroe invincibile che l’aveva salvata dai pericoli del mondo.

E magari si ricominciava a limonare.

Che c’entra? Niente: ormai sono andato.

Sarà una lunga notte.

MALEDETTI!

-Papà! Papà!

Ma vaffanculo!


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