Volevo solo fare l'operaio
Quando ero bambino, mio padre lavorava in fabbrica a una macchina a controllo numerico. Ricordo che qualche volta succedeva, in occasione dei periodi natalizi, che i genitori potevano portare la propria famiglia e i propri figli in fabbrica: questa organizzava degli eventi attraverso il cral aziendale in cui era data la possibilità di accedere a degli sconti per chi volesse comprare determinati regali per i figli in occasione delle festività. Organizzavano allora una specie di festa e un allestimento. Ricordo questi grandi capannoni addobbati per l'occasione: nel complesso, ripensandoci, mi sembra tutto molto 'povero'. Era sicuramente tutto molto grigio e ricordo sempre che faceva freddo, però allora bastava la magia dei giocattoli a dare quel colore che significava qualche cosa di speciale.
Devo dire che mio padre non amava particolarmente quelle iniziative. Ricordo che organizzavano, sempre secondo le stesse modalità, ad esempio anche la colonia estiva e mio padre non volle mai mandare me e mio fratello più piccolo, il terzo invece non era ancora nato in quegli anni, perché diceva che non avrebbe mai e poi mai lasciato i suoi figli in ostaggio nelle mani del padrone.
Comunque io queste visite me le ricordo bene ancora oggi, ma ricordo che quello che mi interessava veramente era vedere dove lavorava papà.
Io volevo essere come mio padre, il mio unico grande sogno, l'unica cosa che ho sempre voluto essere è stata diventare un operaio come mio padre prima di me. Magari potere un giorno lavorare alla macchina accanto alla sua.
Era la fine degli anni ottanta. Vedevo poco mio padre durante gli anni dell'infanzia. Un po' perché faceva i turni in fabbrica; un po' perché il sindacato, era nel comitato centrale, la politica... tutte queste cose lo tenevano spesso lontano da casa.
Praticamente posso dire che io e mio fratello siamo stati cresciuti solo da mia madre e per questa ragione, come io volevo essere come lui, ricordo che dormivo con martello, pinze, cacciavite... sotto il cuscino, allo stesso modo mio fratello (due anni più piccolo di me) aveva per lui una specie di venerazione. Tanto che mia madre a lungo si domandava se per caso sbagliasse qualcosa nel comportamento nei suoi confronti. Ma la verità era semplicemente che, poiché lui non c'era mai, quando c'era, la cosa acquistava un significato speciale per noi e per mio fratello, più piccolo di me, la cosa lo era ancora di più. Del resto sul piano affettivo (come sotto ogni altro aspetto) non ci ha mai fatto mancare nulla.
Poi a un certo punto tutte le cose sono cambiate.
Mio padre ha chiuso con la fabbrica. Mio padre ha chiuso per sua decisione con il sindacato e con la politica, del resto non era più un operaio metalmeccanico e democrazia proletaria (cui era stato tra i fondatori, dopo l'esperienza in avanguardia operaia) concludeva la sua esperienza politica confluendo in buona parte in rifondazione comunista. Cui non volle mai aderire. Del resto aveva già avuto Bertinotti come 'capo' al sindacato e averci a che fare in quel contesto gli era bastato. Nonostante il 'compagno' Fausto fosse per lo più assente e poco interessato a adempiere ai suoi impegni di rappresentante capo del sindacato dei metalmeccanici e impegnato a diffondere il verbo da qualche altra parte non meglio precisata, il fatto che mio padre non fosse allineato al pensiero massimalista del pci gli comportò nel tempo un certo ostracismo, se non - molto peggio - degenerazioni e minacce degne di una certa altra parte politica della direzione opposta e che, va detto, senza denigrare un pezzo importante della storia di questo paese, non mancarono tuttavia nel corso degli anni della storia del partito comunista italiano.
Questo succedeva più o meno in coincidenza con la caduta del muro di Berlino: come se quel determinato momento storico avesse segnato il crollo di tutte le mie certezze in una maniera che ancora oggi a distanza di tanti anni, mi appare irreversibile.
È come se quel muro in un certo senso mi sia crollato addosso.
Appena mi sono diplomato, oltre dieci anni dopo, ho fatto subito domanda per entrare in Alenia Aeronautica, ma non mi hanno mai risposto.
Lo sapevo che sarebbe andata così, figuriamoci, ma provare non mi costava nulla.
Nel frattempo comunque mio padre aveva avviato una sua attività e - come naturale - avevo cominciato a lavorare con lui già prima del conseguimento della maggiore età. Del resto aveva comunque bisogno di una mano e sembrava naturale che fossi io ad aiutarlo. Ma la cosa non mi è mai dispiaciuta: mi sono sempre offerto volontario.
Sono passati quindici-venti anni e non ho mai smesso di fare quel lavoro, una attività che padroneggio con l'esperienza di un veterano e molto meglio di colleghi più attempati e con anni e anni di esperienza alle spalle (che poi a questo punto non sono più tanti dei miei), e l'unica ragione per cui credo di avere cominciato e di avere continuato a farlo sia stata in parte la realizzazione della stessa che quando ero bambino mi faceva sognare di lavorare a una di quelle gigantesche macchine.
Infatti sono riuscito, se vogliamo, a lavorare con mio padre (ma vi posso garantire che nonostante l'ottimo rapporto, un rapporto molto intenso e speciale, questo non sia stato facile a causa del suo carattere diciamo particolare). Ma mi manca qualcosa.
La fabbrica.
Qualche anno fa cercai curiosamente di riempire questo grande vuoto proprio a Berlino, dove cercai l'amore disperatamente rincorrendo fin lì la donna della mia vita. Ma io non ero l'uomo della sua vita e così, ironia della sorte, mi ricordai d'un tratto, proprio lì, davanti ai resti del muro, che io stavo ancora lì: sotto quel cumulo di macerie.
In un certo senso sento di non essere riuscito a combinare niente nella mia vita. Tutto quello che ho fatto è stato seguire la scia di mio padre. Ma mi manca qualche cosa e negli anni ho cominciato a avere dei problemi di salute e quando anche la sua è peggiorata, per motivi diciamo fisiologici dato il raggiungimento di una certa età, penso di avere definitivamente realizzato che quel sogno così tanto lontano sia rimasto incompiuto e che forse dentro c'era qualche cosa di più che potere fare lo stesso lavoro di mio padre e essere come lui.
Dentro quel sogno c'era quella voglia e quel bisogno di fare parte di qualche cosa di grande e che se da una parte mi avesse avvicinato a mio padre, come pure volevo del resto, dall'altra mi avrebbe anche dato una definizione e un ruolo riconoscibile all'interno di un gruppo e di una comunità di persone. Avrei fatto parte di qualche cosa.
Volevo lavorare in fabbrica perché così non sarei mai stato solo.
Ogni giorno che passa, adesso, invece, sento che sono sempre più solo e che questo grande buco che ho dentro non riesco a riempirlo e nonostante io ci abbia provato con metodi che definirei 'sani', come cercare di coltivare amicizie o una relazione sentimentale, ve ne ho parlato prima in poche righe, senza esito; che insani. Facendomi del male.
Forse il grande sogno di lavorare in fabbrica, penso qualche volta a Gaber quando diceva che 'Qualcuno era comunista perché si sentiva solo,' ecco, forse anche quello era solo una grande illusione. Ma, sapete, ci sono bambini che sognano di fare qualche cosa di avventuroso come il pilota oppure il pompiere oppure qualche cosa di ancora più difficile come l'astronauta o lo scienziato; altri invece hanno ben chiaro sin dalla più tenera età di voler fare il medico oppure l'avvocato oppure l'architetto...
Io volevo solo fare l'operaio e costruire gli aeroplani: questo era l'unico modo con il quale mi sarei potuto staccare dalla terra e avrei potuto spiccare il volo. Solo che invece sono rimasto con i piedi attaccati al suolo e ogni volta, alzo gli occhi al cielo e vedo gli aeroplani volare e mi sento vuoto e come se la mia vita non avesse alcun senso.