Di dischi con l’orecchio in copertina ve ne sono (almeno) due: uno è “Meddle” dei Pink Floyd in cui ne viene sfoggiato uno destro, l’altro è questo qui che viceversa ne ostenta uno sinistro. Il padiglione auricolare dei Floyd poi se ne sta sott’acqua, questo invece è all’asciutto epperò ha una bocca per orifizio.
In quanto alla canzone “Blinded by the Light”, ve ne sono a loro volta due versioni: una è quella originale di Springsteen, abbastanza insipida nel suo stile dylaniano trasandato e sotto arrangiato. Apriva il suo album d’esordio del 1973 e fu scelta anche come singolo, che non si filò nessuno al tempo come è giusto che fosse.
L’altra è qui, in questo disco di tre anni dopo, rifatta da capo a piedi da codesto gruppo britannico super specializzato in revamping di canzoni altrui, beninteso mescolate a composizioni originali. E’ andata a finire che, quando si prende in considerazione “Blinded…”, ai più viene a mente questa versione, talmente migliore e di maggior successo da avere indirettamente rilanciato anche la piatta narrazione originale springsteeniana.
Cos’ha di meglio dalla primitiva stesura questa cover che apre così gagliardamente l’album in oggetto? Tutto: dinamica, musicalità, idee strumentali, cambi intriganti d’atmosfera, una voce molto più viscerale e potente, una sensibile ristrutturazione delle parti cantate anche arrivando a mutarne la melodia e gli accordi, qui e là. Delizioso per cominciare il lavoro di organo e piano elettrico all’unisono, uno per canale a battere gli ottavi in stile Supertramp, e poi gli stop&go improvvisi della sezione ritmica, e ancora l’incisivo giro di basso. Un poco obsoleti di contro quei “respiri” e glissati giganti dei sintetizzatori, mentre è semplice ma efficace il lungo crescendo di chitarra solista, con tanto pedale wha wha. Il brano sembra non finire mai, si oltrepassano i sette minuti ma vabbè erano gli anni settanta, succedeva. Poi, per fare uscire il singolo, si tagliava a tre/quattro minuti.
Tutti gli altri contributi dell’album, uno dei più venduti del quintetto grazie precipuamente a “Blinded…”, sono farina del sacco di Mann insieme ai suoi compagni, ad eccezione della pretenziosa “Singing the Dolphin Through” che proviene da Mike Heron della Incredibile String Band ed è nobilitata da un esteso e potente solo finale al sax della grande Barbara Thompson (ossia la tipa bionda sulla copertina di “Valentyne Suite” dei Colosseum, nonché la moglie del loro batterista).
Nessuno degli episodi autoctoni si avvicina a “Blinded…” in quanto a istantanea seduzione, anche perché il disco tende decisamente verso il genere progressive. Basti dire che a supporto vi è anche un coro di dodici elementi e che il mellotron di Mann sciaborda spesso e volentieri in arrangiamento, accennando a un certo punto pure il tema di Stravinskij dal balletto “Uccello di Fuoco”.
A chi è interessato alla perizia e creatività di Mann sui sintetizzatori è riservato lo strumentale finale il titolo del quale “Waiter, There’s a Yawn in My Ear” richiama facetamente quell’idea artistica di copertina di cui si diceva.
Tre stelle + “Blinded…” = quattro.
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