Sono certo che Debaser sia un luogo sicuro, dove gli incontri e gli affronti si giustificano nell'ansia che ognuno di noi ha di rendere il mondo fuori partecipe del proprio microcosmo musicale e nel contempo aprire lo stesso a nuovi orizzonti. A ragione di questo patto, per ora univocamente sancito con gli altri scriventi, sento giusto confrontarmi nostalgicamente anche col mio passato (fanciullesco) e mostrare anche cosa, nel bene e nel male, ha contribuito a creare il mio solido presente musicale.

Pino Mango, lucano come i miei genitori (e da qui il primo legame), mi ha accompagnato lungo il corso della mia adolescenza e fino a qualche anno fa, quando, triste e rassegnato,  decisi di  abbandonarlo al proprio monocorde destino.

Tuttavia, nonostante il tedio che avvince la musica di Mango da quindici anni a questa parte, voglio difendere "Inseguendo l'aquila" (1988). Un disco che racchiude l'espressione più alta di una vocalità particolare e duttilissima nonché di una mediterraneità alla quale mi aggrappo malinconicamente proprio quando voglio ri-sentire (olfattivamente parlando) il profumo degli anni ahimé trascorsi.

In tal senso dedicare righe alla pedissequa descrizione delle canzoni belle o bellissime non nutre lo scopo della recensione. Potrei soffermarmi su alcune ("Mia Madre", "Il mare calmissimo") e dire che ogniqualvolta le ascolto, dentro me, un piccolo mondo lacrima. Ma... no...

Qui la mira non c'entra, importa solo il bersaglio.

Quello che viene trafitto da una canzone lontanissima snocciolata fatalmente dalla più improbabile radiolocale.

Quello che te ne fotti se chi ha scoccato la freccia ci ha preso in pieno. A lui vanno i 100 punti, a te ne restano...sempre meno.

Chiunque ha un disco così. A me è capitato questo. Non infierite.

 

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