Anno 2012. Dopo 5 anni dal rilascio del tanto contestato "Gods of War", i Manowar tornano in scena. E lo fanno in modo, permettetemelo, abbastanza strambo. Dopo l'uscita di un ottimo album live, chiamato per l'appunto "Gods of War Live", e la versione rimasterizzata di "Battle Hymns", chiamato "Battle Hymns MMXI",accade un terribile fatto a cavallo fra l'uscita di queste ultime release. La morte, a soli 54 anni, del batterista che è stato simbolo dei Manowar, Scott Columbus. Non famoso certo per la sua tecnica, ma perlopiù per la sua "rocciosità" nel suonare la batteria, evidente sopratutto in "Warriors of the World". Sicuramente questo è stato un fatto che ha smosso particolarmente Demaio e soci, ma nessuno si sarebbe mai aspettato un risultato come il disco che mi approdo a recensire, "The Lord of Steel". Da grande fan dei Manowar, non è che richieda un grande sforzo sul titolo di un album, già storpiai leggermente il naso quando lessi "Warriors of the World", ma questa è un'altra storia. Ma seriamente? Il signore dell'acciaio? Beh, proviamo a passare sopra... Il disco si apre con la titletrack, un riff molto potente, ma successivamente si scopre che l'intera canzone si baserà su riff semplici, un Eric Adams con una voce in basso tono, una batteria decente, ma sopratutto... un basso zanzaroso. Sì, ricordatevi di ciò, perchè questo basso ci accompagnerà per quasi tutto l'album. Non è quel tipo di suono che eravamo abituati sentire in strumentali come "William's Tale" o ""Sting of the Bumblebee", a tratti è anche fastidioso. La canzone in sè è potente, ma la voce di Eric Adams completamente spenta. Non per scelta del singer ovviamente, Eric Adams a 61 anni suonati ha una voce che fa impallidire ancora tutti. Si segue con "Manowarriors", ossia Guerrieri dei Manowar. Lo stile è quasi simile alla precedente, solo con cori più enfatizzanti per far venire un po' di pelle d'oca, o perlomeno ci si prova. Definirei questa canzone come la brutta copia di "Metal Warriors". Segue "Born in a Grave", che resta sulla scia delle precedenti, anche che il basso è un po' meno in primo piano. Curioso il testo, che per la prima volta nella storia dei Manowar parla di vampiri. Segue "Righteous Glory", con un testo dedicato alle Valchirie, ossia coloro che erano incaricate di portare le anime dei guerrieri morti in battaglia nel Valhalla. E' un ottima ballad, con finalmente, e sottolineo finalmente, un Eric Adams che fa venire la pelle d'oca, anche se nel ritornello risulta sempre quel basso...Touch the Sky è più o meno sulla stessa linea di Born in a Grave, anche se c'è qualche timido assolo dalla chitarra di Logan che dà un po' di brio alla traccia. Black List ed Expendable sono due pezzi tritaossa, da mazzate sui denti, con una batteria chenon risparmia nessuno e con un Adams incazzato come non mai. L'intro di Blacklist è paragonabile ad una prova di resistenza. Se la passate con il volute al massimo, senza perdere l'udito, allora siete dei veri brothers of metal! El Gringo è la canzone che non mi sarei mai aspetttato. Da un lato direi divertente, dall'altro esagerata. Un basso messo in secondo piano, e un Eric Adams in ottima forma. Il pezzo è stato scelto anche come colonna sonora di un film,cosa alquanto strana nella carriera dei Manowar. Una parola per descrivere Annihilation: Orribile. L'intro è qualcosa di strano, il pezzo in sè e per sè può anche definirsi orecchiabile, ma a me ha lasciato con l'amaro in bocca... Ultima traccia, Hail, Kill and Die. Una sorta di auto tributo, come all'epoca fu Blood of the Kings, per la propria carriera. Bel pezzo, testo non ingegnosissimo, in pratica un copia incolla di titoli di canzoni e album, ma che riesce a spuntare dall'ombra.
In definitivo: Un album che nessuno, neanche io che dopo Gods of War ero tutto eccitato a cavalcare su mutandoni di pelle per le strade con la mia spada, mi sarei mai aspettato. Diciamo che raggiunge la sufficienza e poco più, ma ad una band come i Manowar che ha dimostrato ormai da tempo quello che è, e penso che lo abbiamo capito tutti, chi con un po' di sarcasmo, chi realmente, sinceramente non chiedo altro. Diciamo un disco che non sovrasta gli altri per bellezza, ma che riesce a guadagnarsi un minuscolo posticino in una discografia epica come quella dei Manowar, anche se questo disco di epico ha ben poco. L'egocentrismo di Demaio certo, quello potrebbe abbassarsi, però... Spero solo che i Manowar se ne escano con un altro, ultimo, album, perchè chiudere la carriera con un disco del genere, per quanto li ami, non è molto bello.
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Altre recensioni
Di The Giant
L’album, lasciatemelo dire, fa pena.
Il basso di DeMaio ronza come se lo avessero trasformato in rasoio per depilarsi il petto.