La storia di Jeffrey Dahmer, assassino seriale ritenuto colpevole di 17 assassinii tra il 1978 e il 1991, fa parte in qualche modo della storia americana, così come sono passati alla "storia" altri serial killer nel secolo scorso a partire da vere e proprie celebrità come Charles Manson. Nato a Milwaukee nel Wisconsin, il padre era un ricercatore nel campo della Biologia, mentre la madre era dattilograva e soffriva di gravi disturbi di natura psicologica. Il piccolo Jeffrey crebbe in un ambiente sociale disastrato e cominciò sin dall’infanzia a adottare comportamenti “disturbati” tipici come vivisezionare animali morti e collezionarne le ossa in un piccolo vero e proprio laboratorio che aveva allestito dietro casa sua. La sua storia è stata oggetto di attenzione e trattata in documentari e opere cinematografiche (tra questi va sicuramente menzionato "Dahmer" diretto da David Jacobson e interpretato da Jeremy Renner, 2002). Dopo il suo arresto e nel corso del processo, Jeffrey si assunse ogni responsabilità dei fatti e ammise di non sapere cosa lo avesse portato a compiere quei delitti, ma assunse la condanna con un certo sollievo, come se questo e solo questo gli avrebbe finalmente impedito di continuare a uccidere. Fu ucciso in carcere nel 1994 da Christopher Scarver, un detenuto condannato per omicidio e affetto da schizofrenia.

Questo film diretto dal quasi esordiente Marc Meyers ci racconta un pezzo della vita di Jeffrey da una prospettiva molto speciale. "My Friend Dahmer" è tratto dalle testimonianze dirette dell'artista e disegnatore John "Derf" Backderf. Derf fu compagno di scuola di Jeffrey. Sebbene lui e i suoi amici non si potessero considerare amici di Dahmer a tutti gli effetti, questi instaurarono con lui una specie di legame: i comportamenti di Jeffrey erano spesso sopra le righe e le sue "imprese" spinsero Derf e gli altri a dedicargli una specie di fan club. Inoltre Derf ritraeva Jeffrey nei suoi disegni, che poi (anni dopo il decesso di Dahmer) hanno costituito le basi per la graphic novel "My Friend Dahmer" da cui è stato tratto questo film eponimo presentato al Tribeca Film Festival dello scorso anno.

Era forse una forma di dileggio quella do Derf e i suoi amici praticavano nei confronti del giovane Jeffrey, un ragazzo che mostrava chiaramente di avere seri problemi sul piano sociale e relazionale. Apparentemente potrebbe sembrare che no, ma la loro non fu mai vera amicizia: in fondo nessuno parlava veramente con lui, nessuno vedeva e riconosceva come problematico il suo stato di isolamento e quando terminò la scuola, Dahmer rimase completamente solo. Non possiamo dire del resto che Derf e i suoi amici abbiano avuto responsabilità specifiche in questo caso. Tutti noi all'interno della nostra micro-comunità, sia questa la scuola oppure l'università, la squadra di calcio dove abbiamo giocato quando eravamo ragazzi, il posto di lavoro, ci troviamo davanti a delle persone "sole". Non siamo obbligati a fare niente per loro. Queste ci sono accanto, eppure in qualche modo sono lontanissime. È una sensazione che conosco e che mi ha fatto sentire in qualche modo vicino a questo ragazzo che quando alla fine si è ritrovato solo al mondo ha agito come un animale spaventato, scatenando tutta la sua sofferenza e tutto l'odio che aveva nei confronti principalmente di se stesso in una maniera incontrollata, regredendo fino alle peggiori manifestazioni della vita animale. Forse la scelta di farlo interpretare da un ragazzo così popolare come la stellina del mondo Disney e ora in rampa di lancio a Hollywood, il classe 1995 Ross Lynch, un modello perfetto di "vincente", è quella più simbolica e carica di effetto possibile e conferisce un significato ulteriore e più profondo a un film diretto con grande bravura e dove lo stesso Lynch si rivela un attore capace e meritevole di grande attenzioni.

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