Spesso il sentimento della nostalgia viene qualificato come canaglia e non a torto (da tenere presente fra l'altro che il termine "nostalgia" deriva etimologicamente dal greco antico "nostos" ritorno e "algia" dolore). Il ricordo di vicende, persone incontrate e luoghi visitati non ci fornisce gli elementi utili e necessari per giudicare in modo assennato e non ci consente di agire nel miglior modo possibile. E questa riflessione mi è sorta spontanea dopo la visione del film "Nostalgia" diretto da Mario Martone ed ispirato all'omonimo romanzo di Ermanno Rea. Non per nulla la vicenda ci consegna un ritratto di uomo troppo candido da illudersi che il tempo sia passato invano, senza influire sui luoghi e le persone da lui frequentati negli anni verdi della giovinezza.

Il protagonista è un certo Felice (nome azzeccato) che dopo più di quaranta anni ritorna a Napoli nel quartiere del rione Sanità (non propriamente una zona tranquilla della città partenopea) a motivo delle peggiorate condizioni di salute della madre. Questa evenienza gli consente di riprendere contatto con un mondo che aveva lasciato molto giovane, per motivi gravi ed improvvisi, per andare a lavorare all'estero (prima Libano, poi Sudafrica, infine Egitto). Riappropriarsi della lingua sia italiana, sia partenopea è un processo per lui esaltante, al punto di credere che la sua Napoli sia rimasta intatta con la sua vitale atmosfera mediterranea. E, nonostante la morte della madre, Felice è talmente preso da questo suo reinnamoramento del luogo da optare per l'acquisto di un appartamento con vista mare nei pressi del rione Sanità.

Tutto a posto? Niente affatto, perché questa sua pervicacia a ritornare nei luoghi dell'infanzia e giovinezza pare dettata dal desiderio non solo di rivivere le sensazioni provate allora, ma anche di ritrovare certe persone frequentate in quei tempi e in particolare un amico di nome Oreste che già allora era un poco di buono (tanto da coinvolgerlo in una rapina finita male). E a distanza di così tanto tempo non può certamente essere migliorato, tanto che vari conoscenti di Felice (fra i quali lo stesso parroco del rione) lo sconsigliano vivamente di ritrovarlo, trattandosi ormai di un boss camorristico di piccola media caratura con il soprannome di "o malommo". Ma il nostro eroe è come pervaso da un candore francescano, pensa in cuor suo che si possa dialogare anche con chi ha smarrito la retta via. E così facendo fa una scelta altamente rischiosa, andando nella tana del leone e pregiudicando così il suo futuro.

Va detto che il film vive per la magistrale interpretazione di Pierfrancesco Favino nel ruolo di Felice. Il suo esprimersi verbalmente con una cadenza araba, alternando parole apprese nei paesi del Medio Oriente ad un italiano misto a dialetto napoletano, ci mostrano un graduale processo di ritorno alle radici native. Rappresenta in modo chiaro e profondo lo sforzo compiuto dal protagonista di ritornare al punto di partenza della sua odissea, una specie di moderno Ulisse.

Epperò il povero Felice (è proprio il caso di dirlo) ragiona ed agisce da inguaribile romantico. Forse è abbacinato dal sole mediterraneo al punto di pensare che Napoli sia sempre la stessa, nonostante i decenni passati, e con lei siano invariate le persone conosciute in gioventù. Ma dimentica ahimè, che "panta rei" e quindi il tempo cambia tutto e tutti. Come potrebbe essere altrimenti e non fa eccezione il coetaneo indurito dalla vita delinquenziale che procede come se nulla fosse nella gestione del suo racket camorristico. Mostrare riguardi verso un ex amico, poi riparato all'estero, che si azzarda ad incontrarlo nella sua tana? Suvvia, non crederete alle favole? Ed effettivamente il finale non può non essere tragico e comunque scontato.

Ma indubbiamente il carattere idealistico che detta le azioni del personaggio di Felice non può non risultare degno di rispetto. In fondo, a me ha fatto venire in mente certi passaggi del testo di una fra le tante canzoni memorabili dei Beatles (precisamente "In my life" ) in cui si canta (tradotto in italiano) fra l'altro quanto segue:

"Ci sono luoghi che ricorderò per tutta la vita anche se qualcuno è cambiato, qualcuno per sempre e non per il meglio..Non perderò l'affetto per le persone e le cose che sono passate."

Ma a volte, verrebbe da dire, il tempo non è galantuomo ed è meglio non ritrovare chi abbiamo conosciuto in passato. La delusione potrebbe essere molto cocente.

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