Un bel carpiato con doppio avvitamento in avanti, e Mario Venuti si riporta ai livelli che gli competono: quelli di "Grandimprese" e di "Magneti", per intenderci. Dopo la delusione -davvero cocente, a mio parere- di "Recidivo", il cantautore siciliano piazza un lavoro variegato e divertente. Tra digressioni etniche ("Rosa porporina", che apre il disco), una puntata nel reggae ("Con qualsiasi cosa") e una spruzzatina di blues ("DNA"), non mancano due insolite visite nell'opera lirica ("Gaudeamus" e "Là Ci Darem La Mano", quest'ultima con un testo in bilico tra religione e pornografia). Nell'ottima  "Non sarò io", invece, il pianoforte che contrappunta la voce sfuma nel sorprendente finale strumentale, decisamente rock. Capitolo a parte, l'era del bunga-bunga che affiora in "Fammi il piacere", pura discomusic anni '70, carina e ironica: un potenziale tormentone estivo.

La matrice del disco è ovviamente pop, ed è proprio negli episodi più "facili" che stavolta Venuti convince, al contrario dell'opera citata sopra, in cui i pezzi teoricamente più orecchiabili annaspavano parecchio. Il primo singolo ("Quello che ci manca") è piacevole ancorchè molto "commerciale", mentre qualche spanna sopra sono "Rasoi" (in cui i peli superflui sono una metafora che rimanda ai beni, inutili e costosi, cui non vogliamo rinunciare nemmeno in questo periodo di crisi economica) e l'ariosa "Trasformazioni".

Quanto ai testi, come da copione scritti col fido Kaballà, stavolta convincono di più: lucidi, spesso amari, talvolta sognanti, quasi sempre autobiografici. E romantici, ovviamente, visto il titolo. Ma qui il romanticismo è in un'accezione diversa, e cioè nel significato "classico" del termine: è emotività, rabbia, inquietudine: sentimenti narrati con un timbro vocale più profondo e caldo del solito (i suoi "falsetti", che personalmente trovavo inutili e persino fastidiosi, appartengono ormai, per fortuna, al passato).

Insomma, un buonissimo lavoro: manca, forse, un brano-capolavoro, un lampo di genialità, il pugno nello stomaco che ti lascia senza fiato (per esempio, io ho un'insana passione per "Open space", che chiudeva alla grande il fortunato "Magneti"). Ma, al di là di tutto, è certo che- tra tanta immondizia musicale che gira oggi- "L'ultimo romantico", oltre che un disco garbato e sincero, è anche una provvidenziale boccata di aria fresca e pulita.  

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