Compiuto il primo passo il secondo diventa sicuramente più facile. Deduzione che dopo aver ascoltato la colonna sonora di CAL, viene quasi naturale. Dopo aver reso i propri servigi al regista scozzese Bill Forsyth per i film LOCAL HERO E COMFORT AND JOY, Mark Knopfler accetta la proposta del regista irlandese Pat O’Connor per un’altra pellicola – CAL -, un dramma psicologico, che varrà alla bravissima Helen Mirren, il premio al festival di Cannes del 1984 per la miglior interpretazione femminile. L’avvincente storia tra Cal (interpretato da John Lynch) giovane terrorista dell’IRA e Marcela (vedova di un poliziotto morto per mano della stessa organizzazione paramilitare irlandese) attira e coinvolge, pur se l’aspetto sentimentale divenendone moderatamente protagonista, non ne intacca l’essenza degli argomenti che tratta, restando sempre di attuale interesse. Il racconto rapisce lo spettatore dal primo all’ultimo minuto, per via di una regia minuziosa in cui i primi passi mossi da 0’Conor come director, gli varranno come lasciapassare per una carriera soltanto agli inizi. Attenzione al dettaglio che viene confermata nell’abbinamento tra immagini e musiche, in cui il chitarrista scozzese mostra una particolare attitudine a suggellare con le sue musiche, anche le scene che a primo impatto potrebbero sembrare accessorie alla storia.

L’ambientazione nell’Emerald Isle viene percepita al partire del suono dolce delle inconfondibili uillean pipes (suonate da Liam O’Flynn) in “Irish Boy” e dal suadente tappeto di tastiere ( con un Guy Fletcher in rodaggio) e l’accompagnamento della chitarra anche con note candidamente pizzicate, che danno modo di riconoscere Mark Knopfler come autore, direttore d’orchestra e produttore - come oramai da diverso tempo, - del tutto. Suoni di cristallina purezza dell’inconfondibile sei corde, sono percepibili nella successiva “The Road” le cui armonizzazioni del tema principale, vengono diffuse facendo scaturire un piacere di ascolto inversamente proporzionale alla brevità del brano. Nonostante l’intensità del racconto e tenendo sempre conto una omogeneità sonora di base, gli interludi (come “A Secret Place/Where Will You Go?” e “Potato Picking”) riescono sempre a generare in chi ascolta un rigenerante piacere, figlio di atmosfere delicate e leggere a cui può far da contraltare la rugginosa ed imprevista “Fear and Hatred” capace di far trasparire con tatto e gusto i Dire Straits più recenti. Musica in grado di andare oltre il prefissato scopo di fare da sottofondo a delle immagini, in grado di originare a prima vista, ambientazioni fuori dalla realtà ma che riescono nel preciso compito di far volare alta la fantasia tra paesaggi verdeggianti ed alla ricerca perenne di quella quiete irresistibile che viene vanamente ricercata e che sembra divenire raggiungibile attraverso il suono terso che pian piano prende forma, dominando l’intero disco. Con consapevolezza si può affermare di essere ancora lontani del patinato orientamento sinfonico delle colonne sonore di Knopfler che seguiranno ed a cui gli ascolti (e la frequentazione) del maestro Ennio Morricone avranno contribuito non poco, nella predilezione di questa timbrica sonora. I suoni celtici prendono il sopravvento e forse qualche guizzo elettrico in più non avrebbe fatto male, pur se due brani come “Father and Son” (le trasognanti cornamuse dominano con delicatezza) e “The Long Road” (un esempio di traditional folk emancipato), sono un esempio di musica trascinante ed incontaminata, portando ad un apprezzamento del lavoro nella sua interezza.

CAL che è la seconda opportunità di poter ascoltare MK in veste di autore di colonne sonore, prende garbatamente le distanze da quanto fatto per la favola ecologica di LOCAL HERO, mostrandosi anche per l’intera strumentalità, un capitolo musicale originale e di notevole spessore.

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