Mi trovo a riempire doverosamente un vuoto nella discografia di Mark Knopfler: trattasi del primo cd da solista del chitarrista di Glasgow (ovviamente nessuna persona considererebbe come discografia ufficiale le sue colonne sonore per il cinema). Dopo cinque anni dal suo ultimo album in studio coi Dire Straits, quell'inno alla batteria di Jeff Porcaro (fateci caso) che era "On Every Street", Mark torna con un album memore delle passate e summenzionate colonne sonore. In particolare è ad album come "The Princess Bride" e a quel gioiellino che è "Cal" (per chi riesce a reggerlo tutto, e io purtroppo non sono fra questi) che mi riferisco.

Si parte con la scelta dell'opener "acchiappante" (una scelta che sarebbe rimasta in tutti i futuri album di MK): "Darling Pretty" è incalzante e abbastanza orecchiabile, con un buon assolo nel finale; "Imelda" è stata finora fin troppo paragonata a "Money For Notihng", mentre a mio modesto parere è un ottimo riempitivo; la title-track mette i brividi col suo incedere lento su un magnifico tappeto di tastiere e il suo seguente leggero accelleramento; "No Can Do" fa ben dondolare la testa, mentre con "Vic and Ray" ci addormentiamo un po'. Per fortuna arriva un eccezionale "Don't You Get It", col suo coro che si stampa in testa, la sua batteria martellante e la sua chitarra un po' "sporca". Momento dolce ed intimo con "A Night In Summer...", con il folk celtico dei Chieftains a farla da padrone, mentre per "Cannibals" stesso discorso che per "Imelda": questo è praticamente un auto-omagggio di mark alla sua celeberrima "walk of life", con lo stesso suono di tastiere suonate questa volta da Guy Fletcher (divino Alan Clark, dove sei ora?). "I'm the Fool" è carina ma senza pretese, "Je suis desole" personalmente c'ho messo un po' di tempo per digerirla, col francese non proprio appropriato di Mark, mentre "Rudiger" è un sottofondo jazz-otiented ideale per rilassarsi. E veniamo al capolavoro, "Nobody's Got the Gun": come ho già detto su questo sito, la chitarra fender di questa canzone, chitarra di nuovo in braccio a Mark dopo anni che non la usava (finalmente!), ogni volta mi commuove profondamente, non mi vergogno a dirlo, perché è roba che fa piangere sul serio statene certi. Si chiude decorosamnete con "Done With Bonaparte" in cui si torna al foilk e con "Are We In Trouble Now", che si muove quasi sul lento di "Rudiger".

Che dire alla fine, se non che questo è un album in cui forse Mark doveva ancora trovare la sua dimensione come solista, ma che proprio per questo è davvero un buon "collage" di canzoni d'autore, con picchi che rasentano il genio.

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