Esattamente quattordici anni dopo "I'll Take Care of You", raccolta di rivisitazioni di vecchi pezzi americani, Mark Lanegan ci riprova con "Imitations" questa volta allargando la scelta anche a canzoni meno datate (vedi "Flatlands" della californiana Chelsea Wolfe), 'scomodando' fraterne amicizie (Greg Dulli) e veri e propri mostri sacri della musica internazionale dalla famiglia Sinatra a John Cale passando per Nick Cave. "Imitations": già il nome spiega tutto quindi e la copertina pure. Il richiamo a quel piccolo marmoreo capolavoro di "I'll Take Care of You" è subito evidente per chi lo ha amato tanto come me..

'Il bastardo di classe', come lo definisce NME, ci riprova ancora una volta dunque. Conquista l'anima a colpi di malinconiche carezze folk incatenate insieme da quell'immancabile filo conduttore che è il famoso 'straniero' chiamato amore e lo fa come solo lui può: entrando sottopelle come un brivido intenso, bruciandoti nelle vene, ribollendo nel cuore e venendo fuori come una boccata di fumo denso. Quel fumo che inconfondibilmente impasta la sua profondissima e cavernosa voce, calda infinita e triste. Ora sappiamo che per i più scettici l'album di cover di per sé può risultare l'ultimo stadio di un percorso nel quale un artista va a naufragare quando non ha più molto da dire. Ma noi sappiamo che non è così e che Lanegan ce ne ha dato prove su prove. Pubblicare in un biennio, l'ultimo, 2012/2013 tre album (tra l'altro così vari fra loro) già non è cosa da tutti, farlo raggiungendo i risultati che ha conseguito e riuscendo ad imprimergli la profondità e la bellezza che possiedono è poi cosa sempre più rara in un periodo di bulimia e superficialità musicale come questo.

''Imitations" ti culla, ti accarezza, ti colpisce a volte come un pugno in piena faccia e ti strazia l'anima di grazia e tristezza. Grigie ballate ("Lonely Streets", "Solitare"), disilluse e sacrali dichiarazioni d'amore ("I'm Not the Loving Kind", "Pretty Colours" e "Brompton Oratory" che già da sola brilla di una splendida luce), famosissime torch song d'altri tempi ("You Only Live Twice"): c'è tutto il sentimento perso in sessant' anni di storie d'amore. Lo metti su e sembra quasi di vedere i tuoi vecchi ballare stretti stretti, guancia a guancia in un salone vuoto all'alba di un autunno malinconico, smarrito nel passato ("Autumn Leaves") fra le pagine gialle di un amore infinito e che anche tu vorresti replicare e vivere per sempre.

Il profondo sentimento che Mark Lanegan mette in ogni reinterpretazione di questa raccolta di cover, (che stravolga "She's Gone" di Vern Gosdin in uno spiritual roots o "You Only Live Twice" di Nancy Sinatra in una scheletrica ballata folk; che si cimenti, cantando in francese, nella cupa 'elegia funebre d'amore' di Gerard Manset o ancora che strizzi l'occhio ai più celebri crooner del passato come nella rilettura swing di "Mack the Knife" di Kurt Weill su testo di Bertolt Brecht popolare pezzo reso famoso negli anni '50 dalle riproposizioni di Louis Armstrong e Bobby Darin), fa veramente bene al cuore. Medica e strugge allo stesso tempo come l'ambivalenza di ogni cosa bella che da una parte ti eleva e dall'altra di sbatte giù in fondo, nell'ombra più profonda di ogni incubo (''Deepest Shade'').

Perdersi è facile e intravedere la luce in fondo a se stessi lo è meno. Io per ora posso solo mandare 'Imitations' e farlo suonare a volume pieno non tralasciando niente, nessun arrangiamento, nessuna sfumatura e se anche questa volta Lanegan riuscirà a lenire ogni male sarà solo perchè su tutta la faccia della terra non esiste nessuno con una voce tanto potente e magnifica da farti scordare tutti i tuoi guai

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