Perché le domande sono undici, come ci suggerisce il titolo, mentre le risposte, o ipotetiche tali, tredici (quanti i brani inclusi nel disco) non ci è dato saperlo. Quel che è certo è che il tutto è nato dalla collaborazione di Markus Reuter (touch guitars, acoustic guitar, piano) e Robert Rich (sound design, piano, flutes, lap steel), oltre che con il saltuario contributo di SiRenée alla voce, durante una settimana di lavoro in quel del Soundscape studio in California.

Se Rich non necessita di alcuna introduzione, diciamo che Reuter si è fatto conoscere per la partecipazione a progetti come Centrozoon e Tuner, però va sottolineato come i due, nel momento in cui si sono ritrovati a operare di comune accordo, non hanno solo cercato di unire le forze individuali e le rispettive conoscenze, ma si sono avventurati nella composizione di un disco che non fosse necessariamente vincolato al loro passato. Ne è così scaturita un'ipotetica colonna sonora per un film dove la narrazione dell'inquietudine metropolitana, il senso di isolamento naturalistico, solitario e malinconico e immagini di uomini abbandonati nello spazio a seguito di una missione fallita e non recuperata (con il carico di lucida disperazione che ciò genera) si alternano senza regole precise. Il che porta l'album a transitare attraverso diverse fasi musicali, spesso ambientali, etno/futuristiche e a ridosso della new age meditativa, ma anche eteree, elettro-acustiche, sintetiche e analogiche, ipnotiche, cosmiche (emergono echi tedeschi degli anni '70) e persino electro wave soffuse.

Il tono complessivo è un po' troppo sommesso e le differenze faticano a emergere, però forse l'intento dei due artisti era proprio quello di donare coesione ai pezzi grazie a un sentire pacifico ed esplorativo rilassato.

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