Su "3E" ero ancora abbastanza tranquillo. Un po'a disagio, come quando sei stipato in macchina su un sedile posteriore, ma tutto sommato sereno.

"11,000 Volts". L'auto è in corsa e la portiera accanto a me si è aperta.

Dopo "Helen Forsdale" non solo la portiera si è aperta, ma sono caduto fuori e ho battuto forte la nuca.

Questa è la musica dei Mars: psicosi allo stato puro.

Non intendo dilungarmi troppo, anche perché credo bastino poche credenziali. Nascono nei bassifondi newyorchesi del'75; una trentina di live, almeno la metà dei quali nel sacro tempio del CBGB; quattro classici geni disturbati, due uomini e due donne, le ultime, pare, senza alcuna istruzione musicale precedente. Sono uno dei quattro gruppi a figurare sulla Bibbia No Wave, "No New York", nonché un'influenza importante sui primi Sonic Youth (anche se, probabilmente, si fa prima a citare i gruppi No Wave che non li hanno influenzati).

Durano tre anni, i Mars, quanto basta per diventare leggende del loro genere, plasmati dal genio del cantante e chitarrista Sumner Crane, prematuramente scomparso come la "batterista" Nancy Arlen. Una volta sciolto il gruppo, tutti tranne lei confluiranno nel progetto John Gavanti con Arto Lindsay dei DNA, a parodiare magistralmente l'operetta.

Questo disco è una graduale, terrificante discesa negli abissi più reconditi e oscuri della psiche umana.

"3E" non vi sembrerà neanche tanto male: introdotta da un giro di basso del grande Mark Cunningham su cui quasi cantare "you really got me", si presenta come una canzone di stampo post-punk anche vagamente catchy. Certo, la chitarra è un diluvio atonale, il drumming è talmente strambo e glaciale da non parere quasi umano, aleggia una certa ansia di vivere, ma soprassediamo, dai. Da qui in poi, però, è un infausto viaggio senza ritorno: le schitarrate come rasoi di "11,000 Volts", l'attacco maniacale di "Helen Forsdale", l'orrore condensato di "Hairwaves", dove la voce di Lucy "China Burg" Hamilton galleggia biascicando su un mare sonico infernale: basta, ora clicco stop, mi sto sentendo male. Ma ormai sono ipnotizzato, e il panico claustrofobico di "Tunnel" e le urla tribali di "Puerto Rican Ghost" mi conducono a "N.N. End". Ascoltare per credere: da qui in avanti, è cacofonia surrealista crudele e totale.

Un disco da cui uscirete diversi rispetto a prima. Ansia, visioni, tremore, paranoia: l'efferatezza e la follia psicotica della No Wave all'ennesima potenza. Grindcore, Death Metal, certo... ma siamo ancora qui a chiederci quale sia la musica veramente estrema?

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