I Martyr, band canadese in attività fin dal 1994, sono secondo me una delle realtà metal più raffinate e avanguardiste: per quanto riscuotano molto poco successo, non si può negare il contributo che danno all’intera scena estrema.

Chiunque scopra una nuova band nel metal estremo e ne decanti l’innovazione, vada prima a dare un ascolto ad un qualsiasi disco dei Martyr. La band si può dire che sincretizzi elementi dei più disparati generi estremi prediligendo però il Death metal e il Mathcore; c’è chi sentirà di più le sonorità alla Dillinger Escare Plan, chi più quelle dei Gorguts, chi quelle dei Meshuggah, chi quelle dei Cynic e chi quelle dei Death del secondo periodo.

In ogni caso ciò che più caratterizza questa band è nient’altro che il denominatore comune delle band sopraelencate, cioè la tecnica eccelsa, le contaminazioni, un approccio musicale intelligente e pensato. Il disco in questione (datato 2000) segue un Demo di debutto e l’esordio ufficiale “Hopeless Hopes” e precede invece la loro ultima release, l’ottimo live “Extracting The Core”. La varietà e forse l’ingrediente che più si nota e per averne la riprova basterebbe essere dotati di sufficiente buona volontà da contare i cambi di tempo di una singola canzone: le song infatti hanno le loro fondamenta nell’irregolarità più pura, nell’irripetibilità dei passaggi, nell’alternanza di stili. Il cantante/chitarrista offre una prestazione eccellente: un cantato abbastanza pulito (un po’ più violento di un cantato Thrash) e non molto accattivante, è compensato egregiamente da una perizia invidiabile nel suonare la sei corde. Scale ed assoli eseguiti a velocità iperboliche e un certo gusto per il virtuosismo in generale (digressioni acustiche comprese) non bastano a fornire un quadro completo del talento di questo ragazzo; non è azzardato dire che costui sia un genio della musica, in grado di tenere tra le mani e controllare Jazz, Fusion e Death metal e di piegarli alle sue spiccate qualità compositive.

Il songwriting è infatti addirittura maniacale, connotato da un’attenta cura per il dettaglio e per ogni singolo riff, passaggio, accordo. Anche il secondo chitarrista svolge un ruolo chiave all’interno del lavoro e, come il primo, si mette in luce per la sua tecnica elevata. Nulla è lasciato al caso o all’istinto, anche a costo di rendere l’ insieme un tantino freddo. Il batterista si colloca di sicuro tra i grandi del genere (Flo Mounier dei Cryptopsy per fare un nome) e si esibisce in controtempi pressochè costanti e tempi dispari altrettanto frequenti: il fattore per il quale si differenzia dagli altri è forse quello di indugiare meno sulle accelerazioni forsennate e di focalizzare la propria attenzione più sulla perfezione dei singoli passaggi, qualcosa di veramente stupefacente anche se molto difficili da assimilare e da riconoscere.
Con ciò non intendo dire che il cd si aggiri intorno a velocità medio basse, anzi, gli standard sono abbastanza alti, ma non raggiungono i picchi toccati da altri gruppi dell’ ambito. Il bassista, fratello del cantante e seconda voce (un growling parecchio basso ma che compare di rado) è messo leggermente in secondo piano dagli altri strumenti ma non sfuggirà ad un orecchio attento: il suo strumento, usato in maniera sapiente e non invasiva, risulta quella che volgarmente suole essere definita la “ciliegina sulla torta”, il suggello perfetto a questo tipo di proposta. Anche questi dimostra una grande conoscenza delle tecniche jazzistiche le quali emergono soprattutto nei momenti in cui si avverte solo il suono del suo strumento.

La produzione è buona ma non impeccabile: sebbene ogni suono sia ben definito, un po’ di corposità in più, a tracciare linee più spesse e decise, non sarebbe guastata. Se proprio si volesse trovare un difetto a questo album, si potrebbe far notare che il mood è abbastanza povero, né si fa molta fatica a intuirlo: la musica proposta richiede un attenzione ai particolari che fa perdere ogni spontaneità al lavoro, rendendolo di fatto abbastanza sterile, salvo poche eccezioni. Tuttavia credo che di fronte ad un’opera d’ arte qual è questa, si possa anche chiudere un occhio e badare (per una volta) più alla musica che alle emozioni.
“Warp Zone” resta un disco perfetto sul piano tecnico e meraviglioso su quello compositivo. Per quanto le analogie con i Death siano parecchie (il growling pulito e il riffing) è sbagliato affermare che i Martyr ne siano i diretti eredi: infatti le interpolazioni si fanno più sensibili e le parti propriamente Death metal sono più pesanti (risulta difficile dunque liquidarli con un solo genere di appartenenza).

Un drumming che risveglia i sensi, una chitarra capace di costruire e di distruggere e delle canzoni paragonabili per complessità ad una cattedrale, consacrano “Warp Zone” come una delle migliori uscite di sempre: si tratta certamente di un prodotto di nicchia (questo cd, come tutta la loro discografia, è autoprodotto) dedicato a chi ha gusti particolari, ma anche se preferite i lavori più violenti, un ascolto è d’obbligo.

Elenco tracce testi e video

01   Warp Zone (03:04)

02   Virtual Emotions (04:08)

03   Endless Vortex Towards Erasing Destiny (03:18)

[Music: Daniel Mongrain]
[Lyrics: Daniel Mongrain]

"Are you aware of your existence?
And of the reason for it?"

Tear me out of this
Forever lost world
Between time and space
Tear me out of these
Realms where life's
Eternal for those
Who seize it

Surrounded by lost souls
Paralyzed existence
For those whose
Life is a failure
Who are a failure to life

Endless vortex
Towards erasing destiny
Endless vortex
Erasing my destiny
The flame died away

Where am I here and now?
Why was I not
And never will?

[Lead: Daniel Mongrain]

04   Deserted Waters (04:11)

05   Carpe Diem (04:22)

06   The Fortune-Teller (04:22)

07   Speechless (05:02)

08   Retry? Abort? Ignore? (04:28)

09   Realms of Reverie (08:15)

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