Ho visto le menti migliori della mia generazione mendicare una presenza al varietà del sabato sera. Il loro aspetto trasgressivo, il loro pallore, si sposava alla perfezione con l'argomento della puntata”.

Riassumere o tentare di spiegare cosa si è scatenato in me quando, inserito il CD nello stereo, messe le cuffie alle orecchie e premuto Play è partito all’improvviso “Cattive abitudini”, è cosa inutile. Questa recensione è un invito, o, se preferite, una preghiera d’ascolto. 11 anni sono passati dall’ultimo capolavoro. Sembrano tanti, troppi, per un gruppo sacro ai pochi ma sconosciuto ai più come i Massimo Volume. Sono stati sufficienti a produrre una pietra miliare della musica italiana, che mi ha sorpreso come pochi album hanno fatto nella mia vita. Non sono cambiati. Come la migliore tradizione musicale (e artistica) insegna si può essere originali senza scadere nell’eccessivo avanguardismo, nulla scompare finché è ricordato e ripreso. Sono rimasto commosso dal minimalismo, dalle melodie stellari, dai simboli poveri, dalla vitalità che emanano queste semplici, fioche tracce.

Smarriti tra Rimbaud, il primo post-rock e il post-hardcore dei Fugazi, sono profondamente umani. Descrivono ciò che nessuno crede che sia necessario descrivere, le piccole cose non esistono. Pioniere italiano del recitato, Emidio Clementi racconta la sua realtà senza futili atteggiamenti diaristici, contesta la società senza illusioni o secondi fini, urla senza gridare, ama senza esitare.

E così veniamo avanti simili in tutto a quelli di ieri, aggrappati a un’immagine/condannata a descriverci. Dimmi, non è così?? E poi ci ritroviamo/ divisi da nuove alleanze/ senza più nulla da nascondere. Solo più accorti nel mostrare i punti/ dove la vita ristagna/ le cattive abitudini/ quasi sempre appagate”.

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