Aggiustando il tiro rispetto al precedente "The Hunter" (che aveva lasciato un po' l'amaro in bocca a causa delle numerose divagazioni e contaminazioni, spostando il sound su atmosfere che spaziavano dalla psichedelia allo stoner fino all'highway rock) il nuovo album "Once More Round The Sun" torna a focalizzare il marchio di fabbrica Mastodon senza mezzi termini.

Accompagnato da una massiccia campagna promozionale e introdotto dal primo singolo "High Road", questo sesto album ufficiale in studio è una cavalcata inestricabile di riff chitarristici e valanghe ritmiche che con undici tracce riporta ai livelli dei lavori d'esordio il mood della band di Atlanta. Nessuna ballad, nessuna indulgenza agli squarci lirici, soltanto qualche residua concessione alle venature più americane del genere, che qua e là tradiscono le origini di Brent Hinds e soci; ma certo non hanno più il sapore di muschio delle Montagne Rocciose che "The Hunter" ci aveva propinato.

Velocità ed equilibrismi tecnici tengono banco da "Tread Lightly" alla finale "Diamonds in the witch house", senza tradire le aspettative degli esegeti del prog-metal più puro e cattivo. Brann Dailor frulla i suoi tamburi come non faceva dai tempi di "Blood Mountain" e la voce cavernosa e ruvida di Hinds narra i suoi deliri senza indulgenze poetiche nemmeno laddove i testi si aprono su visioni fantastiche. Il tutto con meno tentazioni per la sperimentazione pura, ma certo con una coerenza che due anni fa sembrava persa per strada. Con tutto che "The Hunter" conteneva qualche ottimo pezzo, l'impressione globale è che oggi i Mastodon abbiano deciso di riaffermarsi come nuovi capostipiti di un filone.

Highlights del disco, a mio parere, sono "Chimes at Midnight", "Halloween", "Aunt Lisa", "Ember City". E se devo dirla tutta, la scelta di "High Road" come apripista dell'album è stata la meno azzeccata possibile, trattandosi del pezzo meno ricercato dell'opera e con una matrice dichiaratamente commerciale che anche il relativo videoclip rivela.

Copertina fumettistica dai colori assordanti che nulla ha a che vedere con le simbologie letterarie e mitologiche dei vecchi album; disegnata dal grapher Skinner da Oakland, stride con le fascinazioni della parte profonda della musica, ma a ben vedere ne rispecchia il magma cromatico.

Disco cazzutissimo. Pur in rotazione da soli dieci giorni, lo annovero già tra le cose migliori del 2014. 

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