A costo di ripetermi e risultare fastidisamente autoreferenziale, mi sento di ribadirlo per l'ennesima volta: questo 2015, musicalmente, ad oggi, è l'anno più bello della mia vita. Sarà una coincidenza, sarà per il fatto che sono sempre più incline ad esplorare il presente piuttosto che il passato, ma quando riesco a trovare nuovi "amori" perfino in Alabama; voglio dire , in Alabama, non so se mi spiego, allora vuol dire che c'è veramente qualcosa di speciale. "Danny ma tu sei strano forte, ci hai tessuto le lodi di sconosciuti menestrelli tagiki, e ti stupisci di aver trovato qualcuno dell'Alabama che ti piace!?" Ebbene si, per me questo pezzo di Bible Belt, nel profondo sud degli States, è uno dei posti più improbabili in cui avrei pensato di poter trovare qualcosa musicalmente di mio gradimento: Scarlett O'Hara, il generale Lee, lo zio Tom, George Wallace... ok, ok, la smetto: se Matthew Mayfield dovesse mai leggere questa mia introduzione e gli venisse voglia di prendermi a cazzotti ne avrebbe tutte le ragioni.

Matthew Mayfield, classe 1983, è stato il fondatore e frontman di una rock band, i Moses Mayfield, un'esperienza che sembrava avviata sulla buona strada, dato il contratto discografico con la Columbia Records, ma qualcosa non ha funzionato, nel 2008 è arrivato lo scioglimento dopo un solo album e un paio di EP: contrasti con il management, a quanto pare, e, considerando quello che è vanuto dopo, pare proprio che il Nostro non gradisse affatto le eccessive ed inevitabili ingerenze a cui inevitabilmente un artista giovane sotto contratto con una major viene sottoposto. Oggi Matthew Mayfield è un artista indipendente nel senso più letterale, inequivocabile e autentico del termine, ovvero non è sotto contratto con alcuna etichetta discografica; ha ricominciato dal basso, da qualche concerto acustico nei locali della sua città natale (Birmingham, Jefferson County, Alabama's heartland), e, a poco a poco, si è construito una carriera onesta e su basi solide, che con "Wild Eyes" è arrivata al terzo album, a cui si aggiungono parecchi EP.

Si, ma com'è questo Matthew Mayfield? Beh, non fà nè country nè southern rock, e nonostante il suo passato non lo definirei un rocker, almeno non nell'accezione più tradizionale del termine, ma nemmeno un classico folksinger, nonostante tenda ad esprimersi meglio con sonorità semiacustiche. Lui è semplicemente un ottimo cantautore, non privo di una certa eleganza e soprattutto ampiamente dotato di immediatezza e personalità. Dieci canzoni, voce calda, testi introspettivi e molto curati, una sensazione generale di schiettezza e semplicità "rurale", abbinata però ad una considerevole varietà e apertura stilistica; Matthew Mayfield non ha paura di ricorrere all'elettronica, quando serve, per esempio. Una fortunata combinazione di elementi e maestria artigianale che fà di "Wild Eyes" un disco che funziona. Nonostante la prevalenza delle ballads non si và mai a scadere nel patetico e nel melenso: la profondità, una giusta dose di verve, l'attitudine positiva, caratteristiche che non vanno mai a perdersi e, combinate ad una spiccata predisposizione per ritornelli vibranti ed orecchiabili ed una bellissima voce, vanno a creare un sound perfetto nel suo genere, chè dà vita a grandi canzoni come "Better Off Forgiven" e "Ride Away", che riecheggia vagamente la famosissima "Wonderful Life" di Black, evolvendosi però in una direzione più spensierata e positiva; ma anche "Why We Try", bella performance semiacustica nobilitata dal duetto con tale Chelsea Lankes (su cui dovrò assolutamente informarmi), cantante dotata di un timbro meraviglioso, o ancora "Quiet Lies", più strettamente folk, ombrosa, echeggiante, sofferta ed introspettiva dal punto di vista del songwriting, senza tuttavia perdere quel tocco trascinante, quasi "epico" che è il minimo comune denominatore stilistico di "Wild Eyes".

Ma potrei citarle tutte e dieci, non ci sono brutte canzoni qui dentro, tra le più caratterizzanti e significative meritano una segnalazione particolare l'apertura e la chiusura: "Wild Eyes", la titletrack, che si erge con fierezza, bella, vitale, con la sua intelaiatura elettronica e un ritmo tambureggiante, che scandisce una pacifica e gioiosa, trascinante marcia di battaglia, e poi "Settle Down", un crescendo dalle connotazioni gospel, profondo, maestoso, un ultimo tripudio di cuore e anima, a suggellare un trionfo, per me inaspettato e proprio per questo ancora più bello. "Wild Eyes" è un disco di cuore e fatto col cuore; dimostra, nel modo più convincente possibile, che indipendente non significa necessariamente elitario, intellettuale, per pochi pundits. Questo è un album fortemente radiofonico, americanissimo nel sound, down to earth, ed è un album indipendente di una artista indipendente, uno che si è detto "se vuoi qualcosa fatto bene, fallo tu stesso" e ci è riuscito.

Elenco e tracce

01   Wild Eyes (00:00)

02   Mess Of A Man (00:00)

03   Better Off Forgiven (00:00)

04   Ride Away (00:00)

05   On Your Knees (00:00)

06   Why We Try (00:00)

07   Tidal Wave (00:00)

08   Quiet Lies (00:00)

09   How To Breathe (00:00)

10   Settle Down (00:00)

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