“A Certain Trigger”, l'esordio dei Maxïmo Park, risalente al 2005, era stato accolto in maniera estremamente positiva dalle riviste specializzate e la band capitanata dal carismatico Paul Smith era stata salutata come la next big thing del post-punk albionico. Già il successivo “Our Earthly Pleasures” aveva diviso la critica, nonostante la palette dell'allora quintetto si fosse notevolmente ampliata. Innegabilmente il sophomore dei Maxïmo Park ha marcato l'avvicinamento del gruppo ad una formula più alternative rock, che da allora è rimasta sostanzialmente invariata. Il terzo “Quicken the Heart” rappresenta l'inizio di un lento declino in termini qualitativi. Nei successivi album, i Maxïmo Park alternano invettive politiche a ballate malinconiche non risultando sempre ispirati. La decisione di abbracciare suoni più elettronici ha complessivamente affossato ancora di più la band, come testimoniato dai sintetizzatori tutt'altro che raffinati del più recente “Risk to Exist”. Dopo dieci anni di tentativi e due membri originari persi per strada (il bassista Archis Tiku e il tastierista Lukas Wooller), i Maxïmo Park riescono finalmente a consegnarci un album leggero, piacevole e – cosa tutt'altro che scontata per loro – dotato di una certa coerenza di fondo, sia a livello sonoro che a livello tematico.
Il primo approccio a questo “Nature Always Wins” non può che essere quasi privo di aspettative, vista l'ultima deludente prova in studio. Ed effettivamente in “Partly of My Making”, mid-tempo posto in apertura, Paul Smith si trascina con passo senile su un tappeto sonoro principalmente elettronico, non alimentando in alcun modo le nostre speranze per il resto dell'album.
Ma che la consapevolezza dell'invecchiamento abbia recato al cantante anche la maturità compositiva risulta evidente nei brani più vivaci, di cui ogni componente è studiata meticolosamente. “All of Me” e “Why Must a Building Burn?”, quest'ultima corredata da un testo molto personale ispirato dalla tragedia dell'attentato al Bataclan, sono brani di cristallino pop-rock, pienamente nelle corde dei Maxïmo Park. Nei 44 minuti di durata del disco, il gruppo guarda più volte al passato, inteso sia in senso autobiografico (“Meeting Up” procede in punta di piedi su territori già esplorati in alcune tracce del quinto capitolo della loro carriera, “Too Much Information”) sia in senso più generale (“Placeholder” è palesemente influenzata dai primi R.E.M.), senza che il citazionismo risulti insopportabile.
Nel contesto di un album tutto sommato senza pretese, alcuni colpi vanno a vuoto. Scivola presto nel dimenticatoio “Ardour”, collaborazione con Pauline Murray che tenta di introdurre una componente punk nel disco. Non lascia il segno neppure “The Acid Remark”, insipido collage che nel bridge ricorda certe ballate degli Arctic Monkeys.
I temi che dominano i testi dei brani rimanenti sono principalmente l'amore – argomento lasciato da parte nel precedente “Risk to Exist” in favore di un approccio più politico al songwriting – e la paternità del cantante. Unica eccezione è la traccia di chiusura “Child of the Flatlands”, omaggio di Smith alla sua terra natìa, che si configura come un nostalgico idillio.

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