Ci sono band che riescono ad entrare nell'immaginario collettivo in relazione ad un determinato genere musicale, ed una di queste sono sicuramente i Megadeth che, insieme ai notissimi Metallica, Anthrax e Slayer, costituiscono i "Big Four" della scena metal a stelle e strisce.

Protagonisti, durante gli anni '80, di un movimento che mirava a mischiare insieme la brutalità del punk più oltranzista con le ritmiche tipiche dell'Heavy Metal di stampo europeo, dando vita ad un ibrido noto ai più con il nome di Speed o Thrash Metal, la creatura guidata da Dave Mustaine ha saputo distinguersi per una proposta certamente di impatto ma, soprattutto rispetto ai "cugini" Slayer, più ragionata e "studiata", che si poneva (e si pone tuttora) l'obiettivo di conquistare gli ascoltatori non tanto tramortendoli con parti furiose ed assoli caotici, bensì evidenziando una certa tecnica strumentale ed una capacità di songwriting in grado di coniugare attitudine ed irruenza metallica con un ottimo gusto per le melodie, ben evidente in brani cadenzati come la famosissima "Symphony Of Destruction". Quest'attitudine, unità alla volontà di Mustaine di sperimentare e provare nuove sonorità, ha portato i Megadeth a fare scelte stilistiche non sempre apprezzate dai fans, specialmente da quelli della prima era (dall'esordio fino a "Rust In Peace" per intenderci), dalle quali sono scaturiti lavori controversi come "Risk" e "Cryptic Writings"; proprio su quest'ultimo vorrei concentrare oggi la mia analisi, cercando di mettere da parte moltissimi dei pregiudizi che hanno accompagnato negli anni questo disco, in modo da mostrarlo sotto una luce diversa e spingere qualcuno a riascoltarlo con orecchie diverse.

Per prima cosa sgombriamo ogni dubbio dicendo che non siamo davanti ad un disco Thrash Metal tout court, anzi qui la componente tipicamente ottantiana viene messa pesantemente in secondo piano in favore di un sound più orientato verso l'Heavy Metal classico e l'Hard Rock più roccioso e dinamico, con strizzate d'occhio al lato più mainstream della musica "dura", ben evidente in pezzi come "Trust", traccia d'apertura caratterizzata da un incedere melodico e di facile presa, e "A Secret Place", altro pezzo di immediata assimilazione e per questo considerato dai più molto "commerciale", termine che onestamente trovo riduttivo ed ambiguo: cosa si vorrebbe dire effettivamente con il termine "commerciale"? Che un album vende molto e perciò, essendo amato dalle masse, è di conseguenza banale e poco ricercato? Allora ogni album che ha una certa notorietà e visibilità incapperebbe in questo tipo di discorso, ma vorrei vedere chi si sognerebbe di definire lavori come l'omonimo dei Doors (trovatemi qualcuno che non conosce almeno una canzone di quel disco) oppure "Sgt Peppers" dei Beatles come album non ispirati o semplicemente scialbi e banali. Ora, con il discorso appena fatto, volevo cercare di evidenziare come generalizzazioni troppo affrettate possono mettere in cattiva luce dischi che nel loro essere meno intricati e più "radio friendly" nascondono idee valide e spunti melodici originali e allo stesso tempo accattivanti, proprio come il nostro "Cryptic Writings", un album che ha come caratteristica principale la capacità di essere di facile interiorizzazione senza cadere nel posticcio e nel banale, articolando parti rapide e veloci, con richiami allo speed degli anni '80 ("The Disintegrators" ne è un esempio, insieme alla conclusica "FFF"), a mid tempo ragionati e spiccatamente melodici, come la già citata "A Secret Place", per me vero manifesto programmatico del disco, oppure "She-Wolf", nella quale troviamo un ritornello accattivante e ben costruito, con un Mustaine in ottima forma, magari meno "schizzato" rispetto al passato ma pur sempre incisivo e caratteristico.

Altro punto punto di forza dell'album in questione è proprio la voce del leader, qui più modulata rispetto agli esordi e ben in sintonia con il mood generale del disco, in poche parole una prova eccellente e perfettamente in linea con la proposta, ma non vanno dimenticati gli altri compagni di viaggio, ovvero Nick Menza, storico drummer, sempre preciso e versatile come pochi, Marty Friedman, un chitarrista che non necessita di nessuna presentazione, capace anche qui di sfoderare una prova elegante e pulita, ed infine il fido David Ellefson, compagno di mille avventure del buon Dave ed ingranaggio fondamentale della macchina Megadeth.

In conclusione posso solo consigliare di provare a rivalutare questo interessante album, tante volte bistrattato e bollato come "passo falso" della band americana, certo, come ho detto all'inizio, non è un album Thrash Metal puro, ma alla fin fine questo è proprio un ostacolo così insormontabile?

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