"L'Uomo Caffelatte" è una commedia diretta da Melvin Van Peebles nel 1970, che tratta il tema del razzismo nell'America borghese, puntando sull'ironia piuttosto che sul moralismo austero. Il film, non facilissimo da reperire (a causa dello scarso successo avuto), è molto brillante, a tratti irresistibilmente comico e, sceneggiatori e regista, sono bravi a sfruttare i luoghi comuni sulle diversità razziali, per creare situazioni paradossali, in una concatenazione di eventi che trascina il protagonista in una vicenda assurda, del tutto priva di logica.

Jeff Gerber è un assicuratore bianco, appartenente al ceto medio, dedito alla carriera e alla forma fisica (ogni mattina fa ginnastica, poi "gareggia" con il bus correndo a piedi per andare al lavoro, si fa le lampade ecc...), ma è anche razzista e borioso. Insomma, una vita sistemata e tranquilla, incasellata in un certo tipo di ambiente liberale solo di nome, finchè un bel mattino (anzi un pessimo, ma proprio pessimo mattino), si sveglia "negro". Da questo momento ha inizio una serie di disavventure incredibili (a partire dalla moglie che, ovviamente, lì per lì non lo riconosce e si spaventa a morte) che abbracciano le sfere del lavoro e della vita privata. Ovviamente Jeff non si arrende e cerca una "cura": tra i mille tentativi, si fa vedere da dottori, fa il bagno nel latte, si ricopre di sostanze "sbiancanti". Purtroppo per lui, tutti gli sforzi sono vani. Le gag si susseguono a ripetizione ed il protagonista passa da stati di profonda depressione a momenti d'ira funesta (ad esempio aggredisce un fattorino reo di avergli consegnato un lettino solare, precedentemente ordinato). Questa "trasformazione" innesca un meccanismo tale che tutte le persone che lo circondano (colleghi, amici, vicini di casa - che si prodigano pure in telefonate minatorie) in breve lo abbandonano. Il finale è molto interessante, decisamente inusuale per una commedia leggera e dai buoni sentimenti come questa. Non lo anticipo di più.

"L'Uomo Caffelatte" non fa solo la morale, in modo simpatico senza calcare la mano, all'uomo razzista, ma in alcune sequenze punta il dito anche sulla società e sull'ipocrisia di essa. Quando il Jeff "negro" corre per la prima volta con l'autobus, viene subito braccato dalla folla perchè tutti sono convinti che abbia rubato qualcosa ("L'hai visto rubare?" chiede un passante, "No, ma un negro che corre ha rubato qualcosa per forza" risponde un altro); quando, invece, il capo si accorge del cambiamento di Gerber, in lui vede solo l'opportunità di avere un agente per un nuovo sbocco sul mercato nero.

Il film è davvero divertente e, anche se comincia a sentire un po' il peso degli anni (ma mai troppo), è spassoso nelle trovate comiche e riesce a non scivolare in quella facile e banale retorica antirazzista, in cui Hollywood spesso eccede, che (per quanto giusta possa essere) ad un pubblico mediamente intelligente risulterebbe stucchevole. Significativa è la scelta dell'interprete protagonista Godfrey Cambridge, attore nero, truccato da bianco nella prima parte (ribaltando la consuetudine del vecchio cinema muto).

Voto 3,5

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