Ciao ragazzi, nella mia attività di recupero di pepite del passato, oggi intenderei occuparmi di Memo Remigi.

Di Memo ci si ricorda poco, ad esempio che nel 1984-85 fu parte integrante dello show del sabato sera "Loretta Goggi in Quiz", o che, credo alla fine degli anni '70, fu a lungo compagno della attrice-show girl-presentatrice Barbara D'Urso, prima che questa lasciasse il buon Memo per altri soggetti, ed, in particolare, Vasco Rossi. Ripensandoci bene, c'è tutto un universo musicale nelle scelte sentimentali della "Dottoressa Giò" nazionale!

Ma non di questo trito gossip voglio parlarvi, bensì, di Memo, purtroppo obliterato da molti di voi. Il che, ça va sans dire - per fare i raffinati - non va per niente bene.

Il cantautore lombardo scrisse le sue migliori pagine negli anni '70, con pezzi di atmosfera in cui le nebbie milanesi si speziano di zafferano, ovvero in cui la malinconia delle nebbie lombarde e dei pensieri degli uomini persi nella metropoli settentrionale assume toni e sapori domestici; il dolore, la solitudine, vengono quasi introiettati, nei testi di Memo, fino a divenire parte dell'esistenza, senza possibilità di ribellione, ma con quieta accettazione del proprio destino.

Così, anche i sentimenti d'amore ed i lati positivi della vita vengono vissuti con timida pudicizia, omettendo le banalità che, molto spesso, sono invece il tratto distintivo di tanti cantanti e cantautoruncoli italiani.

Fra i pezzi di quest'album, che raccoglie i successi di Memo, raccomando l'iniziale "Io ti darò di più", ritmi sostenuti e ritornello molto aperto in cui un uomo afferma se stesso innanzi alla bella di turno; "Innamorati a Milano", forse il maggior successo di Remigi, che ben rappresenta un amore qualsiasi nel freddo di Milano, la vita di ognuno che si fa quasi romanzo; la conclusiva "Emme come Milano", dichiarazione d'amore, venata di malinconia, per il capoluogo lombardo e ciò che si può scorgere dietro questa città simbolo, almeno nella mitologia creata da molti a partire dalla prima metà degli anni '60 in poi.

Veniamo, ovviamente, anche ai limiti di Remigi, interrogandoci sulle ragioni per le quali Memo non è annoverato fra i must della musica leggera italiana, ma sembra essere scivolato via, come acqua sul trench dai ricordi di molti, soprattutto degli addetti ai lavori e di parte della critica: da un lato credo che il nostro manchi, come interprete, di una cifra personale di riconoscimento, avendo spesso quei tratti confidenziali che, a differenti e forse migliori livelli, hanno fatto la fortuna di un Bongusto o di un Di Capri, per non parlare del miglior Dorelli.

Nuoce probabilmente a Remigi anche il fatto di identificarsi in maniera troppo spiccata con certa poetica lombarda, priva forse di appeal in altre parti della penisola, anche se, tutto sommato, questo limite sarebbe superabile pensando al carattere universale dei testi di Memo, senza confinarlo in un clichè.

Non ultimo, forse Remigi, con i suoi toni e modi educati, risultava, già negli anni '80, troppo retrò per farsi strada in un mondo, come quello della musica leggera italiana, teso sempre più alla spettacolarizzazione ed all'abuso di personaggi, fatti e fattacci: come suggeriva Sergio Endrigo nel buon romanzo "Quanto mi dai se mi ammazzo?", si tratta di un mondo che premia l'eclatante, il nuovo, senza troppo riguardo per il modesto ma preciso artigianato d'antàn.

Peccato, ed ovviamente peccato anche per Remigi: che tuttavia è stato assieme a Barbara D'Urso, ed, in questi termini, oltre che sufficientemente fortunato, può, a buona ragione, definirsi precursore di Vasco Rossi.

Sempre cordialmente Vostro

 

Il_Paolo

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