Tra i “Big Four” del thrash metal insieme a Slayer, Anthrax e Megadeth. Quarant’anni di carriera alle spalle e undici album in studio pubblicati. Una valanga di pezzi memorabili regalati all’umanità e cento milioni di dischi venduti in carriera.

I Metallica sono arrivati in qualsiasi angolo di questo pianeta, anche il più sperduto e freddo, Antartide compreso. Si sono tagliati i capelli e hanno cambiato look, hanno fatto incazzare i vecchi fan e innamorare i nuovi. Sono nati con lo speed metal, per poi passare all’hard rock. Hanno fatto un disco con Lou Reed e due con la San Francisco Symphony. Hanno fatto causa a Napster, combattuto le calunnie e l’alcolismo e ispirato decine di band del globo terracqueo.

Non voglio neanche dire cosa provochi al sottoscritto (nonostante siano passati trent’anni) l’ascolto di “Enter Sandman”, “Nothing Else Matter”, “Master of Puppets” (qui ne sono passati quaranta di anni) o “The Unforgiven” (e mi fermo qui per non dilungarmi troppo).

Li ho amati anche quando hanno sfornato un disco assurdo come "St.Anger", con la sua batteria echeggiante, il mixaggio opinabile per tanti e l’arrivo del grande Robert Trujillo a sostituire il basso del mai amato Jason Newsted.

Ho esultato quando nel 2008 è uscito “Death Magnetic”, è successo proprio al momento giusto, mentre ci chiedevamo cosa ne fosse stato del trash metal e della batteria pestona di Lars.

Ci hanno lasciati sbigottiti con “Lulu” (Lou Reed ci perdonerà), che personalmente ancora devo assimilare, anche perché gli otto anni che abbiamo dovuto attendere per avere nuova musica, ci hanno lasciati con un sacco di domande e poche risposte.

Eravamo rimasti al 2016 con “Hardwired… to Self-Destruct” e il suo artwork creato da qualcuno dopo l'assunzione di una dose di allucinogeni, la potenza inaudita e qualche brano con la macchia del loop all’interno. Ci siamo ripetuti che per un po’ ce lo saremmo dovuto far bastare. Il tempo è passato inesorabile. Una pandemia, una nuova rehab per James Hetfield, la sobrietà e il nuovo look improponibile con baffoni alla messicana e capello folto da corleonese. Ancora nulla. Si sta concludendo l’anno domini 2022, pensiamo ai nuovi imminenti dodici mesi e ci dimentichiamo dei Metallica, ascoltando nuova musica e concedendoci ogni tanto i loro vecchi successi. E come succede per il concepimento dei figli o la nascita di un amore, le novità arrivano quando neanche ci stiamo pensando.

Il 22 novembre dell’anno 22 sbuca una copertina giallo fluorescente. Ci fa pensare a un faro nella nebbia. Sopra c’è la sagoma di un uomo. Esibisce la nostra stessa gestualità mentre abbiamo scoperto che i quattro di San Francisco ci hanno teso un’imboscata. Il logo della band diventa il prolungamento dell’ombra del malcapitato. “Lux Æterna" è il nome del brano. Mi viene voglia di toccarmi le palle ma sono troppo eccitato per farlo, anche solo a titolo di piacere.

Cerco una stanza vuota. Clicco play e faccio partire. Il doppio pedale di Lars mi spettina subito. Kirk e Rob fanno sul serio, come ai vecchi tempi. Forse anche meglio. Anche James vuole prendere parte alla festa. Inizia a scaldarsi. Non lo vedo ma me lo immagino come una volta. Capello lungo, giacca di pelle, pantaloni stracciati, faccia da bullo di periferia stile anni Ottanta.

Tre minuti e venticinque secondi di headbanging senza tregua. Un po’ “Battery”, un po’ “Through the Never” e tanto tanto “Hardwired”. Quando meno ce l’aspettavamo, siamo stati accontentati. Siamo tornati alle origini, seppur senza gridare al miracolo perché in balìa di qualcosa di innovativo o originale. Ma squadra che vince non si cambia. Il testo è carico di energia (la copertina già dava un'anticipazione), ci dice di esaltarci, di brillare di nuova luce eterna e di lasciarci alle spalle la chiusura degli ultimi tempi. E qui mi trovo d'accordo: dopo la pandemia, siamo schifosamente involuti in questa società.

I Metallica sono come il vino buono e ci fanno ancora ubriacare. Ed è un lusso ubriacarsi con roba di qualità, evitando il Tavernello. Indipendentemente dal fatto che siate i fan incazzati della prima ora o quelli comunque sopravvissuti senza farsi troppe domande.

Aspettando il nuovo disco, "72 Seasons" in uscita la prossima primavera (quindi di stagione di attesa ne servirà soltanto una). Non avrà una copertina scura che nasconde la bandiera di Gadsden o che mostri una distesa di croci. "From the Grave to the Cradle" sarà il caso di dire stavolta. Perché talvolta la vita va un po' al contrario. Ma l'importante è che vada avanti, come la musica che amiamo. Qualunque essa sia. Anche oltre la morte. Come una luce eterna.

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