Avvertenza (doverosa): se vivete un momento di sconforto, se siete depressi di vostro, se vivete un amore grande e, viceversa, siete persone felici, soddisfatte e realizzate, lasciate perdere questo film. Anzi, è un film che non dovrebbe vedere nessuno ma che, per paradosso, dovrebbero vedere tutti. Ma, vi avviso, vi strazierà l'anima e non ne uscirete vivi.
Haneke, regista austriaco geniale e spesso dimenticato, è un autore che gioca a sconvolgere il pubblico. Nessun film di sua appartenenza puo' lasciare indifferente lo spettatore, vuoi che siano due apparentemente rispettabili vicini di casa ("Funny Games", 1997), vuoi che sia una forza misteriosa che nessuno riesce a carpire ("Il nastro bianco", 2009), vuoi che sia un potenziale guardone che però appare indefinibile ("Niente da nascondere", 2005). Non fa eccezione "Amour" (2012), forse la sua opera più estrema, perchè parla di qualcosa che succederà a tutti noi, nessuno escluso: invecchiare e ammalarsi.
Non dico che il film sia un kammerspiel, perchè non è ambientato in una sola location, ma siamo lì. Ci sono due persone anziane, marito e moglie, una vita insieme, sogni, speranze, fallimenti, gioie, figli, lavoro, battibecchi, insomma la vita. Si invecchia, i figli escono di casa, lontani, si continua a fare ciò che si sa fare meglio (nel nostro caso dare lezioni di pianoforte) in una casa dignitosa, signorile, borghese, in cui tutto sembra al suo posto, tra vecchie fotografie in bianco e nero, un mucchio di ricordi che si affastellano spesso disordinatamente e una lenta, ma inesorabile, quotidianità. Finchè uno dei due, lei, si ammala. Ictus cerebrale. La malattia comincia a consumarla senza pietà e il marito puo' solo alleviarle le pene, con amore, appunto. Tutto qui, non c'è da raccontare chissà cosa, c'è solo, e non è poco, da vedere. Le lunghe, e terribili, sequenze della malattia, i pianti e il supplicare un aiuto che puo' essere solo umano e non divino, sono la linfa dell'intero film, ma sono strazianti oltre ogni limite consentito, quasi a voler snervare lo spettatore, ma l'escamotage narrativo utilizzato da Haneke non allontana lo spettatore, anzi lo rende ancora più partecipe degli accadimenti e lo divora dal di dentro con maggiore drammaticità. In fondo, è solo una casa e due persone che si sono amate quotidianamente giorno dopo giorno, e che continuano a farlo perchè non c'è altra possibilità. In una casa rispettabile e borghese, perchè la morte dovrebbe essere dignitosa, visto che è solo il prolungamento di una vita lunga o breve che sia.
Strepitosi i due protagonisti, Jean-Louis Trintignant, certo, ma Emmanuelle Riva è qualcosa di indescrivibile, direi da Oscar, ma anche di più. Infatti non glielo hanno dato (lo vinse Jennifer Lawrence per "Il lato positivo", lasciamo perdere). La regia di Haneke è, guarda caso, splendida e lieve, vola sopra i suoi personaggi con un pudore rarissimo, senza giudicare, senza ergersi a chissà quale moralista (ha fatto bene il protagonista a voler assistere la moglie fino all'ultimo secondo?). Non dà risposte, soluzioni, vie d'uscita, racconta e basta. La verità, nulla più. Con qualche incursione del mondo esterno (la figlia, Isabelle Huppert), ma tutto sta dentro una casa che è una specie di bomboniera del dolore.
Vinse la Palma d'oro a Cannes e l'Oscar come miglior film straniero, ci mancherebbe.
"Amour", se non l'avete visto, non guardatelo. Ma dovreste vederlo.
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